7 settembre 2020 | IL CONCETTO DI CORRESPONSABILITÀ 1/2 – L’INCHIESTA GENX/C6O4. LA RELAZIONE SOTTOVALUTATA DI ARPAV E L’AUDIZIONE POCO CONVINCENTE DELLA PROCURA. IL PASSO DECISIVO

di Alberto Peruffo

La Procura di Vicenza – per noi che studiamo e difendiamo il diritto – deve fare un passo in più. Decisivo.

Per quanto bene abbia fatto sui responsabili, non ha ancora impugnato il diritto contro i corresponsabili. Almeno al momento e da quel che emerge nell’audizione in Commissione Ecomafie del 22/07/2020, dove il Procuratore Reggente Orietta Canova dedica quasi metà del suo tempo a questioni tecniche, idrogeologiche, che non sono di sua competenza, costretta anche dalle inopportune richieste della stessa Commissione presieduta da Stefano Vignaroli, ma alle quali poteva anche non rispondere, concentrandosi su ciò che le compete: la ricerca dei “diversi” responsabili, non dell’opportunità e sull’efficacia chimico-fisica della barriera idraulica. O di ciò che la precede o la ingessa. La presunta “Messa In Sicurezza Operativa”.

C’è un dato di fatto nei grandi crimini ambientali: i responsabili non inquinano così tanto – massivamente e indiscriminatamente – senza essere in qualche modo coperti dai permessi, dalle maglie larghe, dai controlli non effettuati, dei corresponsabili. Troppo grande è l’inquinamento. Non arriverebbero mai a tanto. Si cerca – di fatto e sulle carte – di diluire le responsabilità nel caso si venisse “beccati”. Come ora.

Non solo. Spesso i corresponsabili sono gli stessi che firmano i permessi e che in questo modo si trovano nel doppio ruolo inconciliabile di controllore e controllato. Un esempio recente – di doppio ruolo, sulle corresponsabilità pregresse dell’Agenzia sarà la Procura a deciderlo – è la nomina del Commissario dell’emergenza per i PFAS, Nicola Dell’Acqua, che era già Direttore Generale dell’Arpav. Un commissario chiamato a controllare l’operato dei controllori. Attenzione, questo passaggio e quello successivo sono importanti. Poiché ad un certo punto Dell’Acqua viene spostato dalla sua carica di Direttore Generale dell’Arpav e sostituito con Riccardo Guolo. Sembra che a molti siano scappati questi passaggi, queste nomine, come le gravissime dichiarazioni lasciate dal nuovo Direttore Pro Tempore – probabilmente poco preparato – durante la Commissione Consiliare d’inchiesta da parte dei Consiglieri regionali Andrea Zanoni, Piero Ruzzante, Cristina Guarda, Stefano Fracasso, Patrizia Bartelle e altri, avvenuta il 16/05/2019. A noi non sono scappate. Né le nomine, né le dichiarazioni. Sono scritte nero su bianco. Abbiamo aspettato un anno e nuovi elementi, prima di sottoporvele.

Ci concentremo su queste audizioni. Chiedendoci puntualmente come certe dichiarazioni non siamo poi state sottoposte al raziocinio generale, agli inquirenti, a chi di dovere. Col rischio di diventare un pourparler, come accade per i contenuti importanti di molte altre commissioni. Autore del report analitico, in due puntate, è il nostro coordinatore di redazione, Alberto Peruffo.

La sua densa scrittura, il suo stile, ricco di rigore scientifico e di pathos civile, la mole documentale, sembrano quasi assumere la forza di un romanzo giallo articolato, di un’inchiesta con fatti inimmaginabili per le loro crude conseguenze, le quali invece sono la nostra triste realtà. Che offriranno ai procuratori nuovi elementi per procedere.

Intercaleremo durante la rigorosa analisi alcune foto rappresentative della nostra battaglia, per far respirare il testo analitico con la forza concreta, civile, delle nostre azioni. Uno storyboard visuale nell’incalzare degli argomenti. Per meglio amalgamare la “miscela giuridica” che servirà per le prossime mosse.
Comitato di Redazione PFAS.land
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L’autore consegna il nostro “avviso di garanzia” all’incredulo Antonio Nardone – AD di Miteni – il 16 febbraio 2017, presso la sede di Confindustria Montecchio, durante la farsa della Lectio Magistralis per negare la tossicità dei Pfas, patrocinata dalla Commissione Ambiente del Comune ospitante. Conferenza andata deserta. La consegna ha dato i suoi frutti. I processi sono partiti. Nardone è tra gli imputati. Ora la consegna tocca ai corresponsabili grazie a questa nuova inquietante analisi, nata dallo studio incrociato di diversi documenti – Foto di Pietro Gervasio

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di Alberto Peruffo

Quello che leggerete in questa analisi è fondamentale. Esplosivo. Cercherò di scriverlo in modo accessibile, meglio, usufruibile a tutti. Tanto è il coacervo in cui ci hanno fatto cadere per restare nel buio per tanti, troppi anni, un buio che  ha coperto questo crimine immane, accaduto nel Veneto contemporaneo. Il tutto nasce da documenti mai analizzati come si deve.

Le scoperte che porterò alla luce – le coperte sollevate sui documenti che non si vogliono studiare – offrono gli argomenti necessari per demolire definitivamente il castello di menzogne costruito sui PFAS, la questione e l’affaire gigantesco tenuti in piedi da mura omertose fatte di gesso, di falsità continue e incongruenze reiterate premeditamente, tanto sono sottili. Temporeggiare il crollo del castello è nella loro strategia. Dei corresponsabili. Come il costituirsi tra le parti civili per dissimulare la specifica responsabilità civile. Non solo quella politica. Speriamo che questa “nostra” enorme fatica possa essere d’aiuto alla Procura e offrire una traccia agli inquirenti che devono – ripeto, devono – andare oltre al concetto di responsabilità diretta, specie sul GenX/C6O4. E portare sul banco dei responsabili civili coloro che hanno permesso la contaminazione e non hanno mai ricercato queste sostanze, dopo averle permesse.

Stampatevelo a chiare lettere: con il GenX, il celebrato Veneto ha fatto business trattando RIFIUTI TOSSICI PERICOLOSI che nessuno al mondo voleva trattare. 100 tonnellate all’anno.

Sulla pelle dei nostri figli e della nostra salute. Per fare questo i nostri amministratori hanno dato prima il consenso politico, avallando questo tipo di produzioni, poi quello formale-giuridico, che prevedeva perlomeno di monitorare questo ignobile lavoro, tra cui il controllo degli impianti autorizzati e l’applicazione del Principio di Precauzione per quelle sostanze che potessero in qualche modo essere derivate o collegate con sostanze ritenute tossiche – parenti del PFOA – come già la giurisprudenza internazionale aveva accertato con il caso Pfas DuPont (la consegna dello Studio Epidemiologico del C8 Panel è del 2012). La Regione Veneto e la Provincia di Vicenza, nel 2013, bypassando la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) all’atto della richiesta Miteni con un primo decreto, finalizzato poi con il Decreto Regionale nr. 59 del luglio 2014, in piena emergenza PFAS, non solo concedono il permesso per il GenX, ma per anni non controllano se gli impianti stabiliti funzionano bene a causa della “forzata” concessione e non monitorano mai lo sversamento delle matrici permesse. Delle sostanze inquinanti. Che non sono nemmeno un prodotto finito, ma lo scarto di uno scarto. Il peggio del peggio. Dicono che non erano registrate. Che non si conoscevano. Che l’Italia tutta è inquinata da queste sostanze di vecchia e nuova generazione, imbastendo una narrazione “forzata”, quanto il loro permesso, densa di elementi falsi.

La prova indiretta di questo “crimine legalizzato” è l’avviso del Governo Olandese, anno 2018. Prima di allora, sullo specifico di quanto leggerete, la Regione non aveva fatto niente. Se non firmare l’AIA nel 2014 e poi implementare l’efficacia della produzione con il via libera ad un nuovo Cogeneratore nel 2017 (delibera di Giunta n. 818 del 06 giugno 2017, a firma dell’Assessore all’Ambiente, Gianpaolo Bottacin: link al BUR fatto sparire, come altri, dal sito ufficiale – qui una memoria di Andrea Zanoni – ricomparso dopo il nostro articolo!, ndr 20 novembre 2020).

Capite che il trasferimento dalla responsabilità POLITICA a quella CIVILEconcessione durante l’emergenza, mancato controllo che ha causato l’avvelenamento della popolazione, implementazione del danno con nuove concessioni – è evidente: c’è stato, i dati degli inquinanti consegnati da Arpav alla Procura lo dimostrano e i corresponsabili devono essere puniti.

I fatti recenti offrono ora una svolta decisiva proprio su questi punti: la Commissione Ecomafie ascolta in questi caldi giorni, estate 2020, una Procura che, per quanto incisiva su alcuni punti, risulta esageratamente tecnica in punti delicati in cui dovrebbe non esserlo, uscendo dal merito delle sue competenze, sprecando inutili energie “tecniche” per arrivare a sospendere il giudizio sulle corresponsabilità, quasi un controcanto all’audizione “liquida”, incompetente sui punti “tecnici” dirimenti, del Dirigente Arpav Riccardo Guolo, di un anno fa, maggio 2019. Incrociando le due audizioni, ne esce una cruda attestazione delle forti responsabilità delle istituzioni, e in secondo luogo dei dirigenti Arpav, con le mani legate dalla politica e da Confindustria, i quali tutti sono perciò parimenti – ma a gradi diversi – corresponsabili dell’avvelenamento della popolazione del Veneto. E non solo. Poiché la Regione esporta alimenti non georeferenziati, prodotti nelle zone contaminate, senza certificare in modo chiaro la non-contaminazione dei prodotti che escono dalla stessa. Nessuna consegna dettagliata è stata ancora fatta, dopo anni di richieste, su questa delicata questione.

Una precisazione. Quando diciamo tutti, intendiamo: Miteni, Confindustria, Politica, Regione, Dirigenti Arpav, Genio Civile e Sindaci. Il nostro non è un attacco alle parti sane delle istituzioni-associazioni-aziende, frutto delle lotte democratiche e del lavoro attivo dei cittadini, ma a quelle malsane, passive, colluse, ovvero alla possibile collusione tra le varie dirigenze che hanno causato, nel loro coprirsi a vicenda, nelle loro negligenze o reticenze, l’enorme disastro ambientale e sanitario in questione. Che è sotto gli occhi di tutti. Inoppugnabile. Noi difendiamo il lavoro degli operatori Arpav che sul campo ci ha permesso di avere i dati a nostra disposizione, ma non quello di dirigenti che hanno un nome e un cognome, e per responsabilità dei quali certi dati non sono stati fatti circolare o, peggio, hanno dato o non dato direttive per mettere in atto ricerche necessarie per tutelare la popolazione. Era loro dovere farlo. Non solo morale, ma soprattutto giuridico. Il Diritto – la scientia iuris – interviene dove la morale non funziona, dove la politica fallisce. Questo deve fare la Procura.

Perciò, con questa serrata e inquietante analisi, difenderemo il lavoro degli “autentici” operatori Arpav per arrivare a chiedere che l’Agenzia sia non solo rafforzata, ma rifondata. Portata fuori dal controllo della politica, di quella politica che si sa essere serva dell’economia. Della peggiore economia, quella a fondo perduto. Che produce morte e patologie.

Due sono i punti della nostra analisi, che dimostreranno le corresponsabilità che hanno portato “a morire” l’Agenzia ambientale, specie nel vicentino, anni fa, nelle zone dove maggiormente c’era e c’è il rischio biochimico di inquinamento. Questo indebolimento, è giusto rammentarlo, inizia dall’epoca Galan, governatore del Veneto che voleva trasformare l’Agenzia in un ente di ricerca soprattutto per privati, iniziando un processo progressivo di  smantellamento con il risultato di portarla ad essere costantemente sotto organico “operativo” come attualmente è.

IL PRIMO
La nostra intuizione sui C6O4/GenX, ossia il depistaggio voluto sul Po (v. qui), l’anno scorso, quando invece è proprio dal Po che si risale alla Miteni, dal fatto che la Miteni è collegata alle produzioni della Solvay – intuizione per cui il sottoscritto è pure sotto procedimento penale per averla espressa in diretta Radio Rai 1 contro le dirigenze Arpav e Regionali, sfiduciandole – si è rivelata una straordinaria base di inferenze venute a galla dopo un anno di nostre indagini sugli scivoloni dei corresponsabili, dovendo essi contenere una narrazione che non sta più in piedi: quella che tutta Italia è contaminata, soprattutto il Po, e che la Regione Veneto ha fatto meglio di tutti ed è stata la prima. Certo, la prima regione a dover riparare al crimine che ha consapevolmente permesso, coperto e alimentato per anni, perché molto più grave di tutte le altre regioni, soprattutto per circostanze idrogeologiche e relative decisioni politiche. In nome di cosa? Del bene comune e della salute pubblica? No. Del profitto ad ogni costo, di probabili usi delle sostanze in questione per scopi a noi sconosciuti, forse militari o altre ragioni di stato o di finanza per noi insondabili, come le relazioni tra indotti finanziari multinazionali in mano ai diversi baroni locali, foraggiatori dei burattini della politica territoriale. Insomma, them belly full, but we hungry, tutti a pancia piena, ma noi affamati, specie i giovani che in queste terre dovranno o dovrebbero abitare, costruire il futuro, con alimenti e soldi che traggono linfa da acque e terre contaminate.

IL SECONDO
Il concetto annacquato di “barriera”, lemma oggi tartassato per diluire e dissimulare i fatti del 2006, confondendolo con il concetto idraulico di “pozzo di emungimento”. Tale confusione dimostra la stessa efficacia della “barriera idraulica” in funzione ora, nel 2020: fa acqua sporca, dark waters, da tutte le parti. E così una parte accusa l’altra. L’Arpav accusa il Genio Civile. Il Genio Civile accusa la Miteni. La Miteni accusa la Regione, di essere in regola, la quale Regione mediante Arpav accusa il Genio Civile, che pochi sanno che è la Regione stessa, un suo ufficio provincializzato. Lo accusano – giustamente – di non aver letto bene a suo tempo le carte che parlavano di “contenimento delle acque” o, eventualmente, di non averle consegnate. In una ridicola giostra delle responsabilità. Come nel calcinculo. Dimenticandosi che sono tutti legati insieme. Sono un sistema. E che i legami, se le Procure non vogliono ricercarli, o trovarli, per deficienza di lettura dei documenti, tanto sono complessi e coacervici, li offriamo noi. Puntualmente. Come vedrete sotto.

In sintesi, dalle analisi che leggerete emerge questo argomento di fondo: tutti hanno trascurato – appositamente gli “avvocati” dei corresponsabili – la «catena di responsabilità». Sottolineiamo questo passaggio di logica inferenziale: trattandosi di una catena produzione-permessi-controlli, dopo e insieme agli inquinatori, i responsabili sono gli enti di tutela, controllo, prevenzione, le autorità e le istituzioni, la politica e la grande industria, tutti coloro che hanno manovrato – in modo criminoso per la salute dei cittadini – gli affari legati ai Pfas e ad altre pratiche di disastro sociale e ambientale che qui non nominiamo.

I corresponsabili sono perciò coloro che hanno permesso e non controllato come si doveva, a prescindere dall’aspetto quantitativo contingente espresso dai LIMITI (l’attuale diversivo su cui tutti si azzannano), perché si tratta di IMPIANTI (conversione forzata) e QUALITÀ (tossica) delle sostanze, non solo di misura e quantità. Si tratta di Principio di Precauzione e di omissione di controllo a permessi forniti. Di “reati cognitivi” qualitativi – se potessimo utilizzare una formula giuridica di sintesi – consapevolmente commessi.

In questa prima puntata dedicata al GenX e alla sostanza che vorrebbe nasconderlo, il C6O4, procederemo per ordine di gravità, partendo dal punto che noi riteniamo più grave. Ovviamente tutto è perfettibile e opinabile, secondo le funzioni degli inquirenti e dei lettori, che nei documenti allegati troveranno ulteriori ramificazioni di approfondimento. Noi comunque partiremo dalle parole dette – o non-dette – in audizione dal Dirigente Arpav. Tutto, quello che precede e quello che segue, viene scritto sotto la responsabilità d’opinione e di libera ipotesi d’indagine dello scrivente, supportato dalla documentazione fornita.

Nella storica serata del 17 febbraio 2017 con Greenpeace (Giuseppe Ungherese), Legambiente (Piergiorgio Boscagin) e ISDE (Vincenzo Cordiano) a Montecchio Maggiore, per la prima volta viene sottolineato con forza in pubblico il concetto di corresponsabilità, di fronte alle autorità sanitarie e ambientali del Veneto, ai piedi del palco. Lo stesso giorno per la prima volta viene pronunciata la locuzione “disastro ambientale” dall’autorità regionale (Dott.ssa Francesca Russo) e sollevato il caso Pfas a livello nazionale grazie al TG1 di prima serata – Foto rielaborata di Pietro Gervasio

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C6O4 / GENX LE MOLECOLE PER CONFONDERE LE ACQUE DEL CRIMINE

1.
LA NEGAZIONE PIÙ GRAVE

Nella seduta del 16 maggio 2019 il Dirigente Arpav Riccardo Guolo, Direttore Arpav Pro Tempore succeduto a Nicola Dell’Acqua, interrogato sul C6O4, afferma [i refusi sono della trascrizione dattiloscritta originale]:

«Sulla ricerca di C6O4 e anche sulle cose che diceva il Presidente potrei dirvi che con i miei occhi di lettura di para-tecnico, cioè non di tecnico operativo sulla questione, noi abbiamo molto da imparare dal percorso di questo inquinamento da PFAS, noi come ARPAV perché abbiamo scoperto quelle che possono essere le nostre manchevolezze in un quadro operativo, noi non sappiamo, i nostri tecnici non sanno nulla dei processi industriali. È difficile sapere perché uno deve essere all’interno però come possiamo ogni volta essere sul pezzo, noi non siamo un Ente di ricerca e, quindi, ovviamente è vero che i PFAS non sono più sostanze emergenti, ma non sono ancora dentro il RIC [REACH, ndr], è quello il regolamento che vale per noi, perché noi andiamo sulle norme, non sugli Enti di ricerca. Noi dobbiamo applicare le norme e il RIC [REACH, ndr] ancora non prevede i PFAS che sono nell’altra parte meno stringente». 

Già da queste prime righe si nota l’insicurezza del relatore. L’imprecisione dei termini. Innanzi tutto, fa una gravissima dichiarazione oscura, nei fatti falsa, tendenziosamente equivoca, sul REACH: il C6O4 – come il GenX, che qui si evita appositamente di menzionare perché con questo nome l’attuale Giunta della Regione Veneto ha firmato l’AIA di lavorazione della sostanza che chiameremo “sorella”, nel 2014 – è stato registrato nel REACH, il regolamento europeo delle sostanze chimiche pericolose, nel lontano 2011 [v. qui]. Dunque in qualche modo “è dentro”. In secondo luogo dichiara – lui, non noi – l’incompetenza degli operatori Arpav sui “processi industriali”, confondendoli con la “ricerca”.

La ricerca non è un processo industriale. La ricerca in senso stretto, quella “scientifica”, è ricerca. Punto. 

Il C604 e il GenX non sono la stessa cosa. Due punti.

In base a queste gravissime dichiarazioni il Dirigente giustificherebbe la non-ricerca del C6O4/GenX, ossia il non controllo avvenuto su impianti, scarti, reflui, terreni, acque, dal giorno in cui è stata firmata l’AIA dalla Regione Veneto al giorno in cui Governo Olandese avverte l’Italia di un traffico di rifiuti chimici pericolosi tra Olanda e l’Italia. Che finiscono in una parte ben geolocalizzata del Bel Paese: il Veneto, presso Trissino. Siamo nel 2018 e per 4 LUNGHI ANNI la Regione ha permesso alla Miteni di lavorare sostanze tossiche che nessuna altra parte del mondo voleva lavorare. Non solo: la Regione, la Provincia, l’Arpav, a prescindere dai limiti, bypassati con un escamotage, aveva il dovere di monitorare gli impianti e la lavorazione di questa sostanza registrata nel REACH. Non l’ha mai fatto. Negando perfino la registrazione. Basterebbe questo punto 1 per chiudere la parte più importante del capitolo sulle corresponsabilità.

Operai della Miteni, abbandonati per molti anni dalla Regione, con la maggiore contaminazione al mondo da PFAS nel sangue mai registrata, durante la manifestazione che annuncia il fallimento “pilotato”, novembre 2018. Abbiamo sempre cercato di far parlare cittadinanza e operai, insieme, bypassando tutti, anche i Sindacati, per meglio capire la situazione e rimuovere i blocchi istituzionali – Foto di Giovanni Fazio

2.
LA NON-VOLONTÀ DI CERCARE E DI BONIFICARE

Poco più sotto lo stesso Dirigente Riccardo Guolo accusa la Confindustria e il sistema stesso di non funzionare:

«Cioè, voglio dire, noi possiamo crescere per conoscere meglio i processi industriali per riuscire a prevenire alcune cose, ma non è così semplice se non lo facciamo assieme alla Confindustria, assieme alle associazioni industriali, cioè nel senso che riusciamo a capire, assieme alle aziende, che cosa arriva o che cosa arriverà ma non ce lo diranno mai probabilmente. La proposta che il sistema ha fatto al Ministro Costa era quella di istituire un nuovo tavolo della chimica a livello nazionale che prendendo delle esperienze dei PFAS dicesse: ma se cominciate ad utilizzare nuovi prodotti ditecelo prima, non so come andrà questa cosa, non so se riusciremo a  portarla a buon fine, però in un sistema che funziona uno non ha paura di essere controllato perché sa che non inquina, in un sistema che funziona noi avremo le porte aperte, non le cose nascoste…».

In questo passo, ma anche in quello che seguirà, come in altre parti del documento, il Dirigente ammette che l’Agenzia non può entrare dove deve entrare. Non tanto nei segreti industriali delle industrie, ma negli inquinamenti che esse fanno e che tengono nascosti perché il sistema stesso, la politica, gli dà indicazioni di non procedere o il veto stesso di fare bene il proprio lavoro. Con l’aggravante che non si tratta di un’entrata nel presente, ma all’interno di una fabbrica sotto Direttiva Seveso da anni e che era sotto il tiro dell’emergenza Pfas dal 2013, senza contare che la prima barriera, anche se “nascosta”, era stata messa nel 2006, con avviso all’Ufficio provinciale del Genio Civile – Regione Veneto – il quale sicuramente ebbe il via libera di procedere dopo un parere positivo di qualche organismo tecnico REGIONALE su documenti consegnati dalla stessa Miteni. Dove chiaramente stava scritto, allegati ERM ITALIA (v. Relazione NOE 2017), necessità di “contenimento idraulico” dei contaminanti. Eravamo nel 2006, quasi quindici anni fa.

Torniamo ai giorni nostri. Leggiamo nella pagina precedente dell’audizione citata, cosa dice il Dirigente a riguardo delle caratterizzazioni promesse da Zaia nel febbraio 2017 e mai fatte nel numero e nella qualità promesse:

«Sull’affermazione delle caratterizzazioni dell’acqua non posso dire niente, posso dire quello che sta dicendo la dottoressa Paola Salmaso, il mio direttore del Dipartimento di Vicenza, che è fuori e che sta parlando con i giornalisti e chi dice che siamo lì ogni giorno oggi con più persone sempre, per seguire un percorso di bonifica… perché non è stata fatta prima la maglia, non prima la maglia sinceramente non lo so, ma possiamo procurare le motivazioni per cui sono state scelte, però devo dire la verità ARPAV non è sola dal 2017 nelle decisioni, cioè noi siamo strumento tecnico operativo, ci dicono di andare e andiamo sostanzialmente».

Su questo essere “operatori” a chiamata… lo stesso Dell’Acqua ha imbastito la sua difesa in varie occasioni. È il classico argomento di memoria arendtiana, di chi è sottoposto al potere. Per quanto possa essere comprensibile dal punto di vista del povero operatore “servo” del sistema, non è giustificabile da parte della popolazione che per questo nascondersi dietro all’operatività dell’operatore, che poteva tuttavia ribellarsi e fare bene il lavoro per cui l’agenzia è stata creata – Agenzia di Protezione e Prevenzione! – ora si trova con sangue e figli contaminati. Siamo in un paese democratico, e non in una dittatura. Gli operatori possono e devono ribellarsi alle prevaricazioni, di fronte a un crimine.

Aggrava ancora di più la posizione dell’operatore, acclamato da Dell’Acqua in diverse interviste, se esso non è un semplice operatore, ma un Dirigente pagato con decine di migliaia di euro dagli stessi cittadini contaminati, un Dirigente magari con competenze scientifiche o anche solo amministrative, di alto livello, ossia nella piena facoltà di avere accesso ai documenti peer-reviewed che circolavano per il mondo dall’anno 2000 sulla pericolosità e tossicità di queste sostanze.

La 3M, azienda con il primo brevetto sui Pfas, prima produttrice mondiale, fornitrice di DuPont, avverte il mondo intero, pure l’Istituto Superiore di Sanità Italiano, sulla pericolosità del PFOS, con una mail all’US EPA, l’ARPA americana, il 16 maggio del 2000. Qui trovate il prezioso documento.

Anche sul punto 2 c’è poco da aggiungere e sarebbe materia sufficiente per chiedere le dimissioni delle dirigenze citate e di procedere penalmente per omissione di atti d’ufficio che hanno portato all’avvelenamento della popolazione. Non alla perdita di reputazione, di cui si lamenta in altre parti del documento il Direttore Arpav, documento inquietante che vi invito a leggere in toto, dovendo noi concentrarci solo su alcuni punti. Quelle mancate caratterizzazioni ancora oggi sono la causa del contaminante che a valle della Miteni stiamo continuamente ingerendo: nell’epoca in cui la tecnologia impiantistica ha raggiunto livelli inauditi, la Regione Veneto non è capace di fare una bonifica urgente e necessaria, bypassando – ora sì – la vergognosa partita economica – giocata in questi mesi sul risarcimento – con i vecchi proprietari che sotto mentite spoglie hanno ripreso in mano la “nuova” proprietà.

Ma il dirigente stesso pronuncia, sconsolato, in un altro passo, sulla mancata caratterizzazione dettagliata, queste inequivocabili parole: «Devo dire la verità su questo sono un po’ al limite anch’io». Passiamo oltre, sapendo bene a cosa quel limite si riferisce. O a chi.

Yael Deckelbaum trascina la folla davanti alla Miteni, per la prima Giornata contro i Crimini Ambientali, 22 aprile 2018. Un lavoro di tessitura internazionale, oggi più che mai valorizzato dalle nostre collaborazioni con Science e altre personalità del mondo dell’impegno civile – Foto di Marta Covolato

3.
GEN X ILLEGITTIMO. LA CONVERSIONE FORZATA DEGLI IMPIANTI PER NON CERCARE LE NUOVE SOSTANZE

La Regione non solo dà l’AIA per lavorare il GenX, ma lo dà a patto che siano utilizzati solo gli impianti in essere per i vecchi perfluorati, commettendo il poco ingenuo errore – poi spiego la non-ingenuità – di pensare che gli stessi impianti che si usavano prima per lavorare le vecchie sostanze perfluorate (C8) vadano bene anche per quelle di cui si chiede la nuova autorizzazione (C6), assimilate alle prime per i reflui. Questo è il punto: assimilare il nuovo con il vecchio, e non cercarlo. Così da avere il via libera incondizionato.

Attenzione: il Decreto 129 del 2013 cita l’esclusione della procedura VIA per la «conversione di alcune dotazioni impiantistiche finalizzate alla realizzazione di un sistema di purificazione e captazione del tensioattivo dal risultante in soluzione acquosa dal processo produttivo di plastiche fluorurate».

Gli impianti vengono adeguati – quindi “sostanzialmente”, per la natura stessa delle sostanze, modificati – perché la tecnologia GenX prevede un’impiantistica riconfigurata su sostanze diverse, con tratti di diversità tecnologica dal vecchio PFOA, come dimostrato dal documento olandese qui allegato. Diversità che è la probabile causa della non-tenuta degli impianti sul lungo termine, specie se non costantemente controllati e ben manutentati, come confermano non essere stati negli ultimi anni grazie alle recenti indagini del NOE accompagnato da tecnici della Ulss/Spisal Serenissma di Venezia. Diversità che forse è qualcosa di più di una semplice conversione. Di cosa e di quanto poi. Solo di “alcune” dotazioni impiantistiche. E le altre? Comunque sia, questo adeguamento d’impianto – per quanto piccolo, ma tecnologicamente diverso, per il recovery/recupero di sostanze da scarti – nascosto dietro a una “conversione”DOVEVA ESSERE SOTTOPOSTO a VIA – con relativi limiti allo scarico per le nuove sostanze, invece di rifugiarsi dietro al concetto di ciclo chiuso sperando che non ci fossero perdite di tenuta e che i reflui NUOVI fossero della stessa natura dei VECCHI.

Questa gravissima negligenza è materia sufficiente per caricare di responsabilità omissiva la Regione, la Commissione Regionale VIA del 2013 e i firmatari del Decreto 2014, per i quali ultimi la negligenza diventerà ancora più pesante. Costoro sapevano che si sarebbe continuato a inquinare con sostanze di nuova generazione che non sarebbero mai state ricercate se il Decreto passava senza VIA. A causa di questo bypass sulla VIA gli impianti non saranno infatti controllati come si deve per eventuali perdite della nuova sostanza – poiché non era ricercata!, v. punto 1 – portando alle attuali “falle” che oggi tutti conosciamo. Quindi, mancando limiti allo scarico per le nuove sostanze ed essendoci solo quelli per le vecchie – dismesse per l’emergenza e per l’autodenuncia di Miteni nel 2013 – per anni la stessa azienda ha continuato a scaricare i reflui della lavorazione GenX in ambiente, sottoponendo le ignare maestranze a nuove esposizioni pericolose.

Sottolineo ancora questo punto: bypassare il dibattito sulla VIA grazie al decreto regionale 129/2013, in piena emergenza PFAS, di fatto cancella l’ingenuità sopra citata e permette la “conversione di alcune dotazioni impiantistiche”, nel 2014. I firmatari lo sanno. Sono a conoscenza che se anche si fosse ricercato qualcosa, si sarebbero ricercati i PFAS di vecchia generazione, non i cosiddetti “nuovi”, dietro il cui termine si poteva nascondere un’eventuale non-competenza. Ripeto questa parola chiave: NON-COMPETENZA. Capite il raggiro e il via libera al grande profitto che il ricavo del GenX – commercialmente costosissimo – ha permesso. Fino a pochi mesi fa.

Possiamo anche ammettere che nella seduta della Commissione Regionale VIA dell’8 maggio 2013, nei giorni imminenti allo scoppio della questione PFAS, i componenti della Commissione fossero all’oscuro o poco informati sulla pericolosità dei PFAS. Ma nel luglio 2014 siamo in piena emergenza e la Regione firma il Decreto 59. La sua lettera di morte nei confronti dei territori già devastati dall’emergenza di cui è informata.

Lo fa non preoccupandosi negli anni successivi di verificare lo stato della “conversione” degli impianti e dell’eventuale nuova sostanza che si sta scaricando in ambiente. La stessa linea dei perfluorati che solo essa si poteva usare per la lavorazione sarà poi probabilmente implementata da linee ulteriori o “allargata” oltre la propria portata originaria (perdendosi nei 15 km di tubature “incomprensibili” citati da Dell’Acqua, v. sotto) per incrementare la lavorazione delle notevoli quantità di acque reflue pericolose – tonnellate di scarti ogni giorno – che arrivavano dall’Olanda per ricavare il GenX. Questi punti non si evincono dalla relazione di Guolo, perché non parla mai di GenX. Non si parla mai di GenX! Tuttavia i documenti tecnici della Miteni – firmati dalla Regione, in mano alla Procura, basta leggerli – dimostrano questi fatti, riferitici dalle indagini interne e dalle stesse dichiarazioni di Dell’Acqua che ora analizzeremo.

Ma restiamo ancora a Guolo prima di passare a Dell’Acqua. Nel Documento Ufficiale Contaminazione Pfas Azioni Arpavfirmato dal nuovo Direttore nel 2019 – ci sono ulteriori evidenti incoerenze che dimostrano le manchevolezze dell’ente e il grave ritardo attestato dall’ente stesso, sul GenX, nonostante si voglia dire il contrario.

Leggiamo: «Nel 2018 venivano anche rilevati nelle acque di falda alcuni nuovi composti prodotti dalla Ditta, il HFPO-DA (nome commerciale GenX) e il cC6O4 le cui produzioni erano iniziate come prove pilota rispettivamente nel 2014 e 2013. Veniva quindi richiesto alla ditta di procedere con la verifica della tenuta degli impianti. Infatti, trattandosi di sostanze di recente produzione, la loro presenza in falda non poteva essere legata a contaminazioni storiche o ad attività gestionali del passato, bensì attribuita all’attuale gestione dell’impianto».

Guolo parla del 2018. In quei “anche”, “alcuni”, “nuovi”, “richiesto alla ditta” – in queste incerte parole – si nascondono il ritardo e l’incongruenza di massicce e impressionanti produzioni tonnellate di rifiuti in transito per anni – come attestano le bolle che il governo olandese e Greenpeace hanno messo agli atti di pubblico dominio. Faldone di bolle che io stesso ho esaminato a Roma nell’Ufficio di Greenpeace insieme a Giuseppe Ungherese e che portarono l’associazione ambientalista a fare la prima denuncia dal titolo Sette scomode verità sul GenX, preziosa e quasi perfetta, ma non ancora sufficiente per scatenare il fuoco sulla corresponsabilità, poiché non avevamo ancora gli elementi di cui oggi siamo a conoscenza, come le dichiarazioni di Guolo sul C6O4 e la questione Po di Dell’Acqua, e soprattutto il principio scatenante: il nostro GIS, lo straordinario strumento “popolare” di conoscenza da noi preparato per tutta la cittadinanza del Veneto.

Invece, è proprio in quel 2018 che si evita di dire che l’impianto fin da principio non funziona bene perché forzato sulle vecchie produzioni e sulla nuova autorizzazione che prevede di non ricercare il GenX e altre sostanze derivate, tanto da leggere questa paradossale dichiarazione di Nicola Dell’Acqua sul Giornale di Vicenza, il 28 aprile 2019, giorno in cui si difende dall’attacco sull’Argomento Po, facendo uscire sul quotidiano locale, eterodiretto da Confindustria, una misurata intervista a piena pagina:

«Ora ci si è accorti che ci devono essere state per forza delle falle nella loro attività industriale. Abbiamo capito che l’azienda è insalubre, tant’è che l’abbiamo fatta chiudere. E questo è certo perché se comincio a produrre C6O4 nel 2016, o GenX nel 2014, e già lo trovo a sette chilometri in falda, ho perdite nel processo. Ma con 15 chilometri di tubature non si sa dove. Hanno detto di non saperlo neppure loro e va chiusa».

A parte gli errori di battitura del quotidiano o di memoria del Dirigente sull’inizio produzione C6O4, se questi sono gli argomenti seri di un’indagine ambientale, siamo messi male, soprattutto perché quei 15 chilometri citati non sono mai stati controllati prima, per la nuova sostanza (delle vecchie non si sa), all’interno di una fabbrica che era già sotto inchiesta per le vecchie produzioni.

C’è poco da dire e da fare, il GenX inchioda la Regione e tutti i suoi uffici derivati – fino alla Provincia e ai Comuni, fino alle ULLS, espressione della Conferenza dei Servizi – alle loro corresponsabilità (v. versione del Corriere del Veneto, 5 luglio 2018).

A siglare questa ipotesi di reato, il fallimento della Regione sull’AIA concessa alla Miteni che ha compromesso ulteriormente la salute delle popolazioni residenti a sud dell’azienda, sono queste ultime parole del Commissario, sempre sulla citata intervista al Giornale di Vicenza del 28 aprile, dopo aver argomentato che solo la grande contaminazione del Po poteva portare alle fabbriche produttrici e non utilizzatrici:

«Ripeto, non puoi poggiare solo sulle autorizzazioni Aia a singole aziende per tutelare l’ambiente, servono leggi nazionali».

Ossia, le singole AIA. Singole! Pure quella firmata con il Decreto 59/2014. Limpida l’intenzione di scagionarsi. Di scagionare la Regione. Ecco il punto decisivo: singole versus limiti nazionali. Mettetelo a mente: singole responsabilità contro responsabilità diluite a livello nazionale. Ecco dove spostare l’argomento. Sul Po. Dalla singola AIA a tutte le altre. Oltre le stesse. Alla nazione. Uno spostamento “fuori luogo”. Dalla Miteni a tutta Italia.

Il punto è proprio questo.

Io credo che le parole appena virgolettate siano una chiara espressione della consapevolezza del Commissario sul fallimento della Regione sulla questione AIA/GenX 2014 che porteranno le agenzie di comunicazione a parlare di tonnellate di Pfas sul Po, diluendo le responsabilità specifiche della Regione.

Non solo, quelle “2000 volte in più della Miteni” mediante cui il Commissario lancia la notizia del Po il 26 aprile 2019 per dare forza alla questione limiti nazionali – alla cui notizia io stesso, il giorno dopo, parlai subito di “depistaggio” – oltre a non essere mai state verificate con un nostro accesso a dati pubblicati da Arpav, rivelano in quel primo infantile comunicato – ricordo che pochi giorni prima eravamo usciti con il GIS, la bomba informatica che ha messo in ginocchio la Regione – la chiara intenzione di parlare di questione nazionale per nascondere le singole responsabilità locali. Addirittura additandosi il merito di aver chiuso l’azienda con un nuovo AIA (per far dimenticare l’AIA inquisito) e facendo intuire che il Po è comunque contaminato da un’altra azienda che non ha neppure il coraggio di nominare – la Solvay Solexys di Spinetta Marengo – come a dire che il Veneto ha già fatto la sua parte bloccando la Miteni, ma che serve a poco se non si bloccano le altre aziende in tutta Italia. Leggete ogni singola parola della dichiarazione del 26 aprile 2019 e troverete conferma a quanto esposto sopra. Un depistaggio a regola d’arte, che sposta le colpe sui limiti nazionali, sul Ministero. Questa la mia prima intuizione, questa la mia analisi oggi.

 

Tuttavia, cara Regione, aggiungo io alcune considerazioni all’affermazione di Dell’Acqua: sarebbero sufficienti le singole AIA se queste fossero date con intelligenza, razionalità, senza bypassare la VIA e controllando a posteriori che tutto sia rispettato, in ordine. Non tanto e solo i limiti delle sostanze vecchie – dichiaratamente dismesse! in piena emergenza Pfas – in base ai quali si era in qualche modo giustificato il bypass 2013 e lo sversamento allo scarico che doveva rimanere invariato o eventualmente riformulato dal gestore del depuratore consortile (v. denuncia Greenpeace, punto 2), ma soprattutto la conversione degli impianti. Per una sostanza del tutto nuova. Che andava non solo limitata, ma anche monitorata, dopo aver studiato la sua diversità e tenuta “impiantistica”, compresi i titoli mediante cui ricercarla. Non quattro anni dopo. Non negando la ricercabilità del C6O4/GenX fino ai giorni nostri. Non dicendo che finalmente si è trovato qualcosa di simile sul Po.

Dobbiamo dedurre che trattare rifiuti tossici pericolosi muova profitti e/o interessi così enormi da trascurare tutto ciò?

E di queste contaminazioni, siano PFAS o altre sostanze, quanto è andato in falda in modo illecito e quanto è stato conferito negli scarichi – vedi Tubo Arica – “legittimamente” grazie a permessi firmati dalla Regione?

In sintesi, restando al GenX, la Regione doveva semplicemente avere il coraggio di dire, nel 2018: abbiamo “scoperto” che questa nuova sostanza è stata sversata dalla Miteni. Non ci sono “tonnellate” di PFAS sul Po. O meglio, ci sono da moltissimi anni. E aggiungere: l’autorizzazione alla lavorazione di questa nuova sostanza – pur/troppo – l’abbiamo data noi senza riserve e controlli. Provvederemo a fare la bonifica immediatamente e a sanzionare i responsabili interni alla nostra amministrazione e, infine, a non autorizzare più a spanne». Fine della storia.

Invece ha reiterato e alimentato una narrazione forzata*, inquinata da elementi equivoci e false correlazioni. Senza ancora bonificare. Né i territori né i palazzi.

Dunque, ricapitolando la “Strategia GenX”: convertire concettualmente il vecchio al nuovo, assimilare le nuove sostanze alle vecchie per i permessi e per i limiti sui reflui e per evitare AIA con relativi modifiche agli impianti, ossia “conversione forzata”, per infine rifugiarsi sulla non-competenza di ricerca e normativa nel caso qualcuno sollevasse dei dubbi. In extremis, diluire l’inquinamento in tutta Italia, sul fiume numero uno dell’immaginario collettivo popolare. Grande strategia. Oggi scoperta. Alla luce del sole.

PS* La sottile strategia narrativa si evince dal comunicato “preparatorio” alla grande contaminazione – estesa fino al Po, Livenza, Sile, Adige! – del 22 aprile 2019, che in un primo momento non avevo valorizzato sotto questo aspetto di apripista. Dove la parola pista non è usata a caso.

 
Il Teatro di Lonigo strapieno per ascoltare Rob Bilott che porterà in Italia non solo la testimonianza americana, ma parlerà pure del GenX, il 1° di ottobre del 2018. In primo piano le dirigenze di Medicina Democratica (tra le principali organizzatrici dell’evento), Greenpeace e Rete Gas Vicentina. Sempre in prima fila, i Sindaci di Lonigo e Sarego, seguiti dalle Mamme No Pfas – Foto di Alberto Massignan

4.
IL C6O4 COME L’UOVO DI COLOMBO. LO SPOSTAMENTO DI ATTENZIONE E L’ATTESTAZIONE DI MERITO

Sempre nello stesso documento Riccardo Guolo dichiara:

«ARPAV nella relazione del NOE, perché chiaramente se avete chiamato è questo quello che interessa, ARPAV compare più volte nella relazione del NOE e tralasciando i contributi positivi, vi ho detto anche due nostre persone hanno collaborato, quindi ci son stati, hanno usato nostre relazioni eccetera, sono state evidenziate letture e sottolineature su alcune attività del passato che avrebbero potute essere fatte meglio o diversamente». Poi, più avanti: «Mi aggancio all’ultima questione che riprende anche cose che avevo detto io, cioè nel senso noi abbiamo un ruolo, andiamo a controllare le AIA, cioè quelle che sono le autorizzazioni eccetera, fermo restando che se un’azienda non comunica alla Provincia, non arriva a noi e non sappiamo e mi pare che sia abbastanza acclarato, visto anche le conclusioni delle indagini, che Miteni abbia taciuto tanto e per tanto tempo».

Il C6O4 – badate bene che Guolo parla sempre di questa sostanza e mai di GenX, la sostanza “sorella” per cui l’AIA è stata firmata e “controllata” dalle amministrazioni ora in carica, per l’ottemperanza alla cui autorizzazione sono perciò responsabili – o GenX che sia, non è stato taciuto.

Per il GenX, come detto, è stata richiesta l’autorizzazione nel 2013, rilasciata nel 2014. La “tecnologia” GenX che porta allo HFPO-DA, mediante FRD-902 e derivati – composti a 6 atomi di carbonio – è registrata nel REACH: qui una dettagliata ricostruzione della registrazione e dell’uso della GenX Technology fatta dal Ministero Olandese. Si evince che la DuPont/Chemours lo sostituisce in USA al PFOA nel 2005 e nel 2008 lo registra nel REACH europeo per lavorarlo in Olanda. Ma pure qui non vogliono più lavorarlo, soprattutto gli scarti, perché troppo pericolosi. Nel 2013 la Miteni chiede ufficialmente, su commessa olandese, di farlo lei. Lo chiede alle autorità preposte italiane: Provincia e Regione.

Lo stesso vale per il C604, registrato dalla stessa Miteni e da Solvay nel REACH nel 2011, prodotto preso in carico dalla Miteni già nel 2012. Il GenX viene invece preso in carico come scarto di rifiuti di sostanze tossiche olandesi dal 2014, come dichiarano le recentissime indagini espresse in Commissione Ecomafie dalla Dott.ssa De Munari dal minuto 12 e dal minuto 1h06 (v. e ascolta qui l’importante audizione).

Ma Guolo non si accontenta e rincara la dose per confondere le acque, sempre senza mai nominare il GenX:

«Il C6O4: è diventato adesso estremamente conosciuto anche a livello nazionale per il ritrovamento sul Po».

Altra dichiarazione forzata, che supporta la falsificazione sulla questione Po. È grazie al C6O4 e a i Pfas prodotti a Spinetta Marengo, sversati sul Bormida, che sono iniziate le indagini verso le altre regioni.

Sul Po, molti anni fa, grazie alla Ricerca Perforce Europa 2007/2009 sui grandi fiumi, si scopre la più grande contaminazione di tutto il continente per questo genere di sostanze. Arpa Piemonte le trova ad Alessandria nel 2009 e il ricercatore IRSA-CNR Polesello – indagando tra le relazioni di Solvay fuori regione – arriva nel 2011 a Trissino! Per trovare una fonte di pressione molto più inquinante perché al posto di sversare/diluire sulla portata del grande fiume, andava tutto sulla Poscola e in falda. La Regione Veneto esce con il “depistaggio” sul Po gravemente inquinato, nel 2019, dieci anni dopo! Per spostare l’attenzione dal GenX al C6O4 e prendersi il merito di segnalarlo alle altre regioni. Certo, lo fa anche per chiedere una regolamentazione nazionale dei limiti agli scarichi. Ma non è questo il modo di farlo, spostando completamente l’attenzione dalla propria regione e competenza con relative responsabilità, in tempi di evocato pseudo-autonomismo.

In altre parole: dimentichiamoci del GenX, che abbiamo autorizzato e non controllato, e prendiamoci il merito del C6O4, tanto sono sempre PFAS di nuova generazione – sottolineato da Dell’Acqua nel primo CS ufficiale – sostanza prodotta ANCHE da altre regioni che non hanno fatto il loro dovere e… facendo ciò, nessuno ci capirà niente.

Dietro alle sostanze di “nuova generazione” si nasconde l’inganno. Col risultato per noi, oggi, di avere beccato due piccioni – due ARPA smantellate, Veneto e Piemonte – con una fava.

Continua infatti la narrazione forzata, in parte falsa, sempre di Guolo:

«Il C6O4  è stata la motivazione che ha fatto individuare senza ombra di dubbio Miteni come responsabile, perché prima diceva sempre che i PFAS arrivavano dappertutto, è stato il C6O4 che facevano solo loro che ha permesso di dire: “No, siete voi che avete un impianto che in qualche misura perde”».

Più incongruente di così – Solvay di Spinetta Marengo docet – non si può. Non aggiungiamo altro, tanto sono le incoerenze rispetto alla storia del Po. Diventa tuttavia decisivo notare che Guolo parla sempre di C6O4 e mai di GenX, perché su questa sostanza è stata firmata in primis l’AIA da chi governa e fa pressione ora sull’Arpav. A conferma di questo argomento, nei primi tempi, appena scoperto il GenX dall’Olanda ed emerso agli onori della cronaca questa “nuova sostanza” – brevettata nel 2005 – si parlava solo di GenX, mai di C6O4.

Ora – in tempo di processi partiti – il GenX diventa troppo pericoloso, da nominare. La Regione stessa aveva interesse che PRIMA del 2018 non si potesse addebitare l’inquinamento SOLO alla Miteni, per non dimostrare che la Regione stessa per tanti anni aveva dormito, dai tempi dei pozzi di emungimento del 2006, e ancora dal Progetto Giada del 2001, dalle denunce di Luciano Ceretta in Provincia nel 1995, fino ai BTF 1978. Il C6O4 diventa così il magico uovo di Colombo – quello che dilava tutto – che salva la Regione dall’inquietante scoperta del 2018. Che lava via il GenX e pure la questione degli anni precedenti. Alimentando la confusione. La fusione delle responsabilità verso una sola direzione, allargata: Miteni e…. altre Miteni. Ossia dicendo che ci sono altre Miteni e che non è colpa loro, della Regione, perché di certe sostanze non si sapeva niente. Anzi, il mondo è pieno di PFAS emergenti. Anzi al quadrato, il Veneto è il primo ad accorgersene. Una sottile strategia. Che non sta più in piedi.

Fate attenzione ora come Guolo continua, recidivo, accennando al Piemonte, per non sembrare del tutto sprovveduto:

«Anche oggi sul C6O4 abbiamo delle difficoltà di analisi, abbiamo fatto una domanda in Olanda, in America per cercare di avere dei titoli ma noi e anche l’ARPA Piemonte che ha un’altra azienda produttrice facciamo fatica a trovare il titolo perché per analizzare, per capire la quantità, allora sapere che c’è C6O4  si riesce a sapere,  cerchiamo, l’analisi no target, si sa, c’è un composto, ma capire questo composto quanto ce n’è, è prodromico per sapere che qualcun altro deve dire se fa male o se fa bene e quindi sapere quanto ce n’è è discriminante poi per i limiti allo scarico o qualsiasi altro limite, significa avere delle capacità di analisi che dal punto di vista tecnologico noi abbiamo, però il grado di indeterminatezza, di errore, deve essere basso, perché altrimenti chiudiamo o apriamo un’azienda a seconda di un’ipotesi che non sta in piedi».

La difesa del Dirigente finisce in un vaniloquio, qui evidente. Pure la domanda in Olanda è depistatrice e di seconda importanza. Il governo olandese avverte il governo italiano, grazie anche a Greenpeace e alle sue ricerche internazionali, che c’è un traffico di rifiuti pericolosi tra Olanda e Trissino, le cui entrate e uscite sono sospette. Solo allora interviene la Regione e incredibilmente, d’improvviso, trova il modo per ricercarle, il titolo, delle nuove sostanze. Raccontandoci la storia che in Piemonte, pure, non sapevano ricercarlo, quando è da anni che lo studiano e lo producono. Non volevano trovarlo! Qui da noi, in Veneto. Accollandosi così oggi, nel 2019, il falso primato di essere i primi a cercare il C6O4 quando Medicina Democratica è dal 2015 che allerta le ARPA su queste sostanze. La richiesta di lavorare il C6O4 alla Miteni arriva dalla Solvay di Spinetta Marengo – che già da anni produce PFAS vecchi e nuovi – in cerca di un luogo dove fosse possibile lavorare queste terribili sostanze che stavano creando problemi in provincia di Alessandria. La Miteni inizia a lavorare il C6O4 nel 2012. Ora, chiusa la Miteni,  in questi stessi giorni, mentre stiamo scrivendo, la Solvay ha chiesto di implementare di nuovo la produzione della stessa sostanza. Un dettaglio fondamentale: le due aziende in comune, negli anni in questione, hanno lo stesso dirigente, Luigi Guarracino, che ben conosce produzione e ubicazione. Ciò che non si può fare in Piemonte, lo si può fare in Veneto, o viceversa, con un continuo scambio delle parti. Più chiaro di così! Infine, a siglare la narrazione oramai liquida e contaminata da troppi elementi di incoerenza, Guolo conclude:

«Noi come Ente scientifico dobbiamo avere questa certezza, non possiamo permetterci di mandare non dico qualcuno in galera ma insomma, perlomeno, di chiudere o non chiudere uno scarico su una cosa che ha un dubbio. L’autorizzazione al C6O4 è la madre per cui  poi ci ha permesso di trovare sul Po, perché voi sapete che dal 2017 non è più ARPAV da sola che fa determinate cose, ma c’è una Commissione regionale chiamata Commissione Ambiente e Salute che ha varie componenti regionali, dove ARPAV partecipa, che affronta tutte queste questioni. È  stato in quell’ambito di Commissione Ambiente e Salute che è stato chiesto di allargare i parametri di ricerca, voi sapete quello che troviamo, ma voi non sapete quello che non troviamo a volte, cioè nel senso noi le analisi le facciamo sempre, ma poi abbiamo deciso: da oggi si cerca anche il C6O4 e l’abbiamo trovato; chissà quante altre cose ci sono che non cerchiamo, per quello il discorso di avere strumentazione che permettono…».

Da oggi, dal 2019?! Fa impressione sentirlo dire. Soprattutto leggendo i documenti di Medicina Democratica (Dossier 204/241 luglio-ottobre 2018). Qui il Dirigente ha perso la facoltà logica, forse tradito dal rendersi conto che ha fatto troppi errori precedentemente. Di che autorizzazione parla Guolo, dell’AIA del 2014? Non ci sembra. Era del GenX. E se anche fosse, dove è stata l’ARPAV in tutti questi anni sulla questione C6O4/GenX? L’ARPAV deve essere autorizzata da una Commissione Regionale speciale per cercare ciò che per legge deve cercare? Si appella alla strumentazione quando abbiamo accertato che in USA già da anni strumenti più sofisticati ricercano quantità molto più precise e “specie-specifiche” delle nostre. Non si tratta di limiti allo scarico, ma di omissione di controllo sulla “ottemperanza della conversione” degli impianti autorizzati e sulla ricerca della sostanza/sostanze che da questi impianti potevano uscire, di capire se rispettava l’autorizzazione data che, come dice Bottacin, prevedeva il ciclo chiuso e non lo sversamento, di controllare quindi lo stato d’uso degli impianti prescritto, che fossero essi impianti come da autorizzazione e che non ci fossero perdite della sostanza autorizzata. Ma anche di eventuali perdite delle sostanze lavorate prima! I vecchi PFAS, considerato che siamo in piena emergenza, dall’anno 2013. Per questa gravissima omissione durata ben 4 anni – fino all’avviso dall’Olanda – i Dirigenti della Regione Veneto all’Ambiente e dell’Arpav sono responsabili. E vanno indagati, quindi condannati con aggravante se ritenuti colpevoli. Soprattutto perché insistono “dolosamente” sul Po, dimostrando una chiara premeditazione atta a depistare l’attenzione sul GenX. L’anticorpo dell’uovo di Colombo.

L’autore dell’articolo, Alberto Peruffo, alla fine della manifestazione di Venezia dell’ottobre 2019. Contro di lui due procedimenti penali: per il blocco “civile” della Miteni a fine ottobre 2017 – denuncia neppure fatta dall’azienda! ma “presumibilmente partita dai poteri politici” che hanno voluto istruire il processo – e per aver sfiduciato, sempre civilmente e rigorosamente, in diretta Radio Rai 1 – delitto d’opinione? – i dirigenti della Regione presenti, sul C6O4 nel Po (querela annunciata dal CS 604 firmato da tutta la Giunta Regionale, fatto sparire dal sito della Regione!). Due forti intimidazioni, che hanno avuto come grande risposta collettiva un lavoro di analisi (la nascita di PFAS.land) e di promozione culturale a tutti i livelli – Foto di Federico Bevilacqua

5.
PROGETTO GIADA, FLUTTUAZIONE DELLA FALDA E CERA F

Sempre Guolo, risponde a Stefano Fracasso sul Progetto Giada:

«Progetto Giada. Il progetto Giada era sui BTF, devo dire la verità, soprattutto, la parola PFAS non c’è di fatto, e se posso fare un’estrema sintesi, a un certo punto si è arrivati a dire: c’è un aumento dell’inquinante non si sa se per fluttuazione della falda o per ulteriori emissioni. È evidente che un po’ tutti quelli che hanno letto quelle conclusioni –  compresa ARPAV – hanno detto: “Va beh, sarà una fluttuazione della falda” perché sennò sarebbero andati a indagare e ci sarebbero stati altri elementi. Lo stesso rapporto dei NOE in una frase conclusiva dice che non si richiede che ci siano altri elementi di inquinamento. Quella frase che è citata nel report di Greenpeace, che è anche citata nel rapporto dei NOE, è l’ultima frase di un lungo interrogatorio, dove si parlava di BTF non di PFAS».

Ora, lasciando in sospeso il sopraggiungere dell’acronimo PFAS sui vecchi BTF – sempre dietro le parole si nasconde l’inganno o l’equivoco – sorge legittima una serie articolata di questioni: se il Progetto Giada si conclude nell’anno 2011 e accerta senza ombra di dubbio un aggravamento dell’inquinamento della falda da sostanze derivate dal fluoro, siano esse BTF o PFAS o altro con la F di mezzo, è mai possibile che un’agenzia di prevenzione liquidi con una ridicola “fluttuazione della falda” un documento così importante? Lo faccia per così tanti anni, di fronte a una fabbrica già colpevole di uno storico inquinamento, all’interno della quale si sapeva che si producevano derivati del fluoro? Siamo o non siamo negli anni della Cera F che solo la Miteni produce e che tutti lo sanno, specie gli sciatori di fondo? Il PFOA si conosce da almeno 10 anni! Com’è dunque possibile che l’agenzia di prevenzione ambientale non indaghi più a fondo sull’aggravarsi di un pericoloso inquinamento e si nasconda dietro a un semplice passaggio di nome tra BTF e PFAS? No, non è possibile, è inammissibile.

Come è inammissibile che i documenti finali del Progetto Giada non siano stati consegnati o richiesti dalla Provincia di Vicenza. Già nel 2008 la Miteni si dota del primo macchinario per la ricerca dei PFAS e il Laboratorio Ecochem dell’Assessore Provinciale Walter Formenton è chiamato a fare ricerche private sulle nuove sostanze. Per questo Arpav deve essere rifondata. Dopo una Commissione d’Inchiesta che faccia luce sull’Agenzia e sui rapporti che ci sono stati e ci sono tra le istituzioni Regione e Provincia con gli industriali, per quanto riguarda proprio i controlli dell’Arpav, a partire dallo smantellamento progressivo dell’efficacia operativa della stessa Agenzia iniziato dai tempi del Governo Galan. Per diventare ora una delle tante agenzie pubbliche ad impronta manageriale.

Ricordiamo che i Dirigenti ARPAV, Nicola Dell’Acqua e successivi, non hanno ancora detto niente sull’indagine amministrativa interna promessa dallo stesso Commissario PFAS, il quale non ha avuto il coraggio di presentarsi alla prima presentazione ufficiale degli acquedotti, il 6 febbraio 2020, a Brendola, forse per le ingerenze della politica che lui stesso non poteva sostenere con noi attivisti presenti a scongiurarle (era presente una delegata di Partito – qualunque esso sia – che c’entrava poco con una presentazione tecnica, se non per dare il proprio imprinting politico, da noi rispedito al mittente).

La parola PFAS è attestata nei documenti di Rob Bilott sulla Dupont dalla fine degli anni 90. Magari muovere un po’ le dita sulla tastiera non farebbe male ai dirigenti Arpav della Regione e della Provincia. Sono passati vent’anni e sembrano ora accorgersi improvvisamente che qualcosa non va. Anche dal punto di vista delle “paroline” usate. Prima BTF, poi PFAS, ora C6O4, mentre il GenX, la spada di Damocle sulla testa di Bottacin, non nominiamola mai, soprattutto perché lo stesso dirigente ha pure avallato il via libera al Cogeneratore Miteni – per il ciclo delle sostanze incenerite dall’azienda, via aerea! – nel 2017.

Dunque: i procuratori, come diremo nella seconda parte, invece di perdersi nei meandri della spiegazione tecnico-idraulica della barriera che non spetta a loro, indaghino sui finanziamenti – anche legittimi – ai partiti da parte degli industriali alle future cariche della Regione e ad eventuali collegamenti con i dirigenti ARPAV, Genio Civile e Uffici amministrativi vari, dai Comuni alla Regione, passando per la Provincia. Forse si scoprirebbero le ragioni di tanti ritardi e altri anelli della catena di responsabilità. Indaghino sui medici che hanno negato la pericolosità delle sostanze e sottoposto ad esposizioni indicibili gli operai della Miteni e tutta la popolazione, senza aspettare che sia la Regione – controllore/controllato – a fornire i dati epidemiologici, sui danni sanitari!

Rob Bilott incanta il pubblico al Teatro di Lonigo, 1 ottobre 2018. Sullo sfondo in attento ascolto due protagonisti “storici” della battaglia, Giuseppe Ungherese di Greenpeace e il nostro avvocato Edoardo Bortolotto – Foto di Marco Milioni

6.
LO SCARICO SUI CITTADINI. DAL GIS ALLA BONIFICA

Ad un certo punto Riccardo Guolo ci chiama, teutonicamente, in causa: arrivano i Pfasländer! Ossia il nostro sito. Ecco qui il passo:

«Fuori c’è il mio direttore tecnico, l’ingegner Trabuio, che è responsabile nazionale della Citizen Science e vi faccio un altro esempio del caso PFAS: noi tagliamo [pubblichiamo, ndr] tutti i dati, abbiamo chiaramente piena trasparenza e un comitato, che ha il sito “PFAS lender”, ha preso i nostri dati e ha fatto un GIS, cioè una georeferenziazione dei dati che abbiamo trovato e io qui non ho nessun problema a dire che abbiamo fatto un errore di battitura su uno e lo stiamo correggendo perché è giusto che ci siano i dati corretti (era un errore proprio nella tabella esposta sul sito). Per noi fare Citizen Science significa che non facciamo un GIS nostro, ma usiamo quello, cioè collaboriamo con tutti i cittadini che possono misurare l’ambiente e, per esempio, sui rifiuti che lei citava prima, in un periodo in cui vengono riempiti i capannoni di rifiuti e a volte bruciano, a volte non bruciano, ma comunque sono stoccati lì con tutti gli altri problemi, per prevenire qualsiasi problema sul territorio basta che noi sviluppiamo anche delle sentinelle tra i cittadini o tra i Sindaci stessi con cui abbiamo parlato di queste cose. In pratica il paradigma di un’agenzia ambientale del futuro è quello di lavorare non solo per i cittadini, ma con i cittadini: è un discorso molto lungo, ne sto discutendo a livello nazionale col direttore di ISPRA e con il Presidente del sistema ed è per questo che noi siamo molto colpiti da questa situazione in cui molte frange della popolazione, soprattutto nell’area rossa ma in tutta l’area PFAS, ci vedono come nemici. Ecco perché per noi distruggere la reputazione è un danno incalcolabile dal nostro punto di vista, perché non possiamo più metterci al fianco dei cittadini, come vorremmo e come dovremmo essere e come ci aspettiamo di essere».

A dire il vero, come illustrato dal nostro pionieristico file I “buchi neri” dei Pfas in Veneto, firmato da Davide Sandini, autore del citato GIS, gli errori e le lacune sono molteplici. Cosa si ricava da questo ultimo discorso di Guolo? Che intanto noi cittadini stiamo lavorando non insieme con l’Arpav, ma al posto dell’Arpav – “usiamo quello”!!! – la quale Agenzia invece di consegnare un file illeggibile di 5000 stringhe con molti “buchi neri”, per non dire spazi bianchi, avrebbe dovuto fare essa stessa un GIS che mostrasse la gravità dell’inquinamento a tutti i veneti. E invece l’abbiamo fatto noi. Sottolineo poi questo concetto: per noi l’Arpav, i suoi operatori, scienziati, ricercatori, impiegati, non sono nemici. Sbaglia Guolo a dire ciò. Anzi. Sono i nostri migliori alleati. Lo possono essere invece, nemici, i dirigenti che portano l’Agenzia lontana dalla sua funzione, dai suoi principi costitutivi. Dall’essere un’Agenzia di Prevenzione, non su commissione.

Non solo, le buone intenzioni di Guolo sono contraddette pure dalla questione bonifica. Apparati tecnici della Regione e della Provincia, siano essi dentro o fuori dall’Arpav, ma che comunque con essa sono in contatto, in questi ultimi due anni non sono stati in grado di fare un piano di caratterizzazione e di bonifica come si deve, tanto da dover prima aspettare quella dei vecchi/nuovi proprietari, e, visto come vanno le cose quando sono affidate a chi è parte colpevole, essere ancora in aperta discussione per arrivare ad un serio e concreto risultato. Com’è possibile tutto ciò? Incompetenza, ostruzionismo, spannografia? Eppure i soldi che questi tecnici e para-tecnici si intascano sono soldi veri della comunità. E i soldi non sono né incompetenti, né ostruiscono i loro conti, e nemmeno producono spanne nei loro usi personali, magari alquanto raffinati in fatto di oggetti e proprietà possedute. Insomma, a sentire Guolo e a vedere le conferenze imbonitrici o gli incontri nelle case private di Dell’Acqua, l’Arpav non è un agenzia di prevenzione primaria, ma secondaria o terziaria: un’agenzia per formare sentinelle e imbonire genitori e stampa? Abbiamo testimoni su questi fatti pronti a testimoniare.

Lo stesso tenere fuori i giornalisti con tecnici preparati a parlare con loro, come si nota nella relazione di Guolo, indica un voler indirizzare l’opinione pubblica verso narrazioni forzate e alterare la stessa capacità del Dirigente a dire le cose bene in una commissione d’inchiesta. Di questo accuso i politici che hanno in questo modo alterato la compostezza scientifica dell’audizione e l’informazione trasparente sui giornali. Vorrei inoltre ricordare a Guolo che non è l’Arpav che deve educare i cittadini alla vigilanza e all’impegno. Ma la società civile. Certo, strada aperta e da battere per la collaborazione attiva di tutta la cittadinanza in progetti di gestione partecipativa delle risorse primarie, ma poi ognuno faccia il proprio mestiere, specie per le competenze specifiche, come costruire un GIS accessibile o progettare una seria bonifica. E se non ci sono fondi per pagare gli operatori Arpav – sotto organico! – siano decurtati gli stipendi dei Consiglieri Regionali e dei Dirigenti Arpav: un quinto dei loro eccessivi introiti pro capite produrrebbe almeno 10 nuovi operatori tecnico-ambientali per ogni singolo Ufficio provinciale.

Il nostro GIS, citato da Riccardo Guolo nella sua relazione. Pubblicato il 12 aprile 2019, ha fatto tremare l’intera Regione – Foto Archivio PFAS.land

7.
SINDACI E GESTORI DELL’ACQUA. PRIMA DELLA SECONDA PUNTATA 

C’è infine una cosa che esula dal C604 e GenX, e che sconcerta. Ancora di più. Nell’agosto del 2013 i gestori dell’acqua mettono i filtri negli acquedotti (v. qui, nel documento presentato a Brendola nel 2016 e nel 2020). Per fare questo avvertono i sindaci, essendo aziende partecipate, e nessuno dei sindaci, per anni, avverte i cittadini che stanno bevendo acqua fortemente contaminata e filtrata. Ora questi sindaci sono corresponsabili dell’avvelenamento della popolazione e tutti vanno portati in sede di responsabilità civile per avere violato ben quattro articoli della Convenzione dei Diritti dell’Uomo difesa dalla Corte Europea e che ricade nella giurisprudenza italiana per la valenza costituzionale sulla difesa della salute dei cittadini.

Citiamoli, in nuce:
Art. 2: diritto alla vita.
Art. 8: diritto, rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, e quindi dell’ambiente salubre.
Art. 10: diritto all’informazione.
Art. 13: diritto al rimedio effettivo in caso di gravi violazioni ambientali.

Soprattutto un sindaco su tutti. Il Sindaco di Trissino. Passato e presente. L’attuale Sindaco in carica, Davide Faccio, dichiara in Commissione Ecomafie del 26 settembre 2017 di non voler chiudere la Miteni perché per il suo paese non ci sono elementi sufficienti di contaminazione. Certo, e come fa a saperlo se i suoi cittadini non sono sottoposti allo screening!!?? E se anche fosse, andando tutto in falda, la Miteni sta contaminando e ha contaminato altre comunità a valle, altri paesi. Un sindaco deve intervenire se una fabbrica del suo territorio contamina i territori dei comuni limitrofi. A meno che non ci sia un accordo di partito – di omertà – tra i Sindaci.

Noi tutti ci domandiamo come sia possibile che i Sindaci o i loro delegati non entrino e non controllino, anche personalmente, le fabbriche a rischio presenti nei territori, specialmente una fabbrica recidiva, già sotto indagine per l’emergenza acclarata nel 2013, sotto Direttiva Seveso. Non sono molte. Fino al momento del fallimento il Sindaco di Trissino ha permesso che questa fabbrica avvelenasse buona parte del Veneto. La Miteni infatti è al limite dell’abitato di Trissino. Chiediamo di procedere contro di lui per l’alta responsabilità civile imputabile, perché era in sua facoltà accedere a tutti i documenti citati finora, ai controlli, a tutto quello che era necessario verificare fin dai tempi dei primi “falsi” pozzi di emungimento e che chiariremo nel prossimo articolo.

Infine, chiediamo ai Procuratori: “dei” – articolo partitivo – Gestori dell’Acqua che installano filtri speciali nei loro acquedotti per abbassare la contaminazione, e che quindi sanno che stanno fornendo acqua contaminata, i quali gestori, sapendo ciò, non avvisano tramite comunicazioni formali, scritte, inequivocabili, che l’acqua che esce dai loro impianti e che forniscono nelle case è contaminata, sono o non sono corresponsabili dell’avvelenamento della popolazione – insieme ai Sindaci – dato che i documenti mostrano senza ombra di dubbio che sono consapevoli di cosa stanno filtrando? Lo sono. A prescindere dalla quantità di contaminante, per la quale vale il Principio di Precauzione e la contingenza storica, trasferibile a tutte le sostanze della stessa famiglia. Non hanno informato.

Nessun documento – bolletta del 2013/2014/2015 o comunicazione ufficiale alle famiglie delle zone contaminate – attesta un avviso di acqua contaminata da Pfas nelle forniture. Solo dopo anni. Anzi, in palese accordo di linee guida con i Sindaci – come dimostra l’assemblea di Brendola del 10 maggio 2016 – il direttore Alberto Piccoli deride, eludendo le domande, le preoccupazioni dei primi attivisti no pfas sulle forniture di Acque del Chiampo, sotto l’onda negazionista della Giunta Comunale di Montecchio Maggiore.

La stessa sera un rappresentante della medesima Giunta arriva addirittura a chiamare “terroristi – come fece Nardone il giorno della Lectio Magistralis – quei primi attivisti. Si tratta della stessa Giunta muta a Brendola e assente nella storica conferenza di Greenpeace a Montecchio del febbraio 2017, con Piergiorgio Boscagin di Legambiente e Vincenzo Cordiano di ISDE in prima linea, alla presenza di tutte le autorità della Regione, ambientali e sanitarie, Giunta che ora celebra i filtri negli acquedotti del paese, negando ciò che essa stessa prima negava: l’omertà, l’incapacità, l’affossamento delle verità scientifiche e documentali su tutta la questione Pfas, da più parti argomentate. A partire, appunto, dalla Conferenza negazionista di Nardone.

Altresì, gli stessi Sindaci in carica ora non hanno mai chiesto alle autorità superiori né consegnato alla popolazione, come è loro dovere, le georeferenze sugli alimenti, pur sapendo che ci sono pozzi privati soggetti ad una contaminazione altissima come il nostro GIS certifica grazie ai dati Arpav, e non contenti di ciò – di sottoporci a consapevole avvelenamento tramite gli alimenti, fino a prova contraria – non si sono mai dati da fare per dare accesso libero a tutti i cittadini delle zone contaminate alle analisi del sangue – come garantito e obbligato dai valori costituzionali – come nostra lettera del febbraio 2020 sottolinea in modo chiaro e senza riserve. Lettera ancora senza risposta dagli Assessori della Regione Veneto, referenti primari dei nostri Sindaci. Perché queste analisi dimostrerebbero quello che con le georeferenze non vogliono dirci. Che siamo contaminati, anche fuori dalla zona rossa, per vie – alimentari, idriche, aeree – oramai fuori controllo.

Questi Sindaci/dirigenti ci hanno avvelenato e vanno perseguiti.
Questa è la mia opinione, la mia analisi, i miei argomenti, i “nostri” documenti.
Buona lettura.

Alberto Peruffo
7 SETTEMBRE 2020

alberto_peruffo_CC

FOTO: la foto Cover [clicca qui per ingrandire i particolari!] è di Alberto Peruffo, con il documento originale della Commissione Consiliare Regionale del 16 maggio 2019. Le tre foto qui sopra fanno parte della Galleria della Seconda Marcia dei Pfiori, del 14 maggio 2017 (di Alberto Massignan e Navarro Tartini). Nei dettagli la partenza dalla Miteni (con le nascenti Mamme No Pfas in prima linea), l’arrivo a Trissino dei manifestanti, la consegna dei Pfiori presso il Municipio.

TESTO INTEGRALE STAMPABILE IN PDF >> INCHIESTA CORRESPONSABILITA GENX C6O4 DI ALBERTO PERUFFO def 7

8 risposte a "7 settembre 2020 | IL CONCETTO DI CORRESPONSABILITÀ 1/2 – L’INCHIESTA GENX/C6O4. LA RELAZIONE SOTTOVALUTATA DI ARPAV E L’AUDIZIONE POCO CONVINCENTE DELLA PROCURA. IL PASSO DECISIVO"

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