17 febbraio 2020 | I PFAS SONO OVUNQUE. NON PENSIAMOCI TROPPO | LA NOSTRA ARGOMENTATA LETTERA ALLE AUTORITÀ REGIONALI PER I DIRITTI NEGATI | IL VENETO NON POTEVA NON SAPERE

di Prof. Franco Sarto
Università di Padova
già Direttore del Servizio
di Prevenzione e Sicurezza del Lavoro ULSS 16

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In questo articolo il Prof. Franco Sarto ci introduce alla rigorosa lettera spedita dai vari comitati e gruppi del Movimento No Pfas alle Autorità regionali per non aver compiuto fino in fondo il loro dovere, dopo l’emergenza ambientale venuta alla luce a seguito dei dati Arpav 2013. Abbiamo tutti necessità – soprattutto la parte più fragile della popolazione, giovani, anziani e in primis le future madri e relativi padri – di accedere alle analisi del sangue, anche nelle zone di prossimità all’azienda o adiacenti a quelle di forte contaminazione, chiamate zone rosse. Necessità di accesso estesa alle zone contermini e non solo – arancione, gialla, ma anche nei siti di discarica dove sono conferiti i fanghi della Miteni – necessità promessa a Minerbe il 24 di novembre del 2017 dall’allora Assessore alla Sanità Luca Coletto e mai mantenuta dalla Regione. Questa urgenza supera la stessa efficacia, in termini di salute pubblica, della celebrata e supposta indagine epidemiologica in corso (in realtà, come vedremo, un piano di sorveglianza sanitaria piuttosto lacunoso) e anticipa il nostro ricorso in Corte Europea dei Diritti dell’Uomo contro lo Stato e tutte le sue ramificazioni, fino ai Sindaci dei Comuni, per aver violato ben 4 articoli della Convenzione sui diritti, di seguito citati. Art. 2: diritto alla vita. Art. 8: diritto, rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, e quindi dell’ambiente salubre. Art. 10: diritto all’informazione. Art. 13: diritto al rimedio effettivo in caso di gravi violazioni ambientali. Ricorso illustrato nella riunione collegiale di Lonigo dello scorso 3 febbraio 2020. [Comitato di Redazione PFAS.land]

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«I PFAS sono un problema che permea le nostre vite anche oltre quello che noi pensiamo. Abbiamo scoperto in questi anni che sono dappertutto, tanto che credo che, se tutti i presenti cercassero i PFAS nel proprio siero sicuramente qualcosa di PFOS o di PFOA sarebbe trovato, tant’è che noi l’abbiamo trovato in quantità anche facilmente dosabili anche in soggetti sicuramente non esposti. Volevamo cercare un bianco di riferimento, il bianco di riferimento non era zero, ma erano valori ben dosabili nell’ordine di 5, 10 o 15 microgrammi per millilitro (sto parlando sia di PFOS che di PFOA) … » Alessandro Bizzotto, Dirigente Servizio Controlli ARPA Veneto, Dichiarazioni alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sugli Illeciti Ambientali e dei Rifiuti. Argomento: la vicenda Miteni, 11 luglio 2019. Tralasciamo l’errore dell’unità di misura citata, microgrammi invece di nanogrammi, ma non siamo a conoscenza di questi “valori normali” che sarebbero stati prodotti dal Laboratorio ARPA di Verona di 5, 10 15 ng/ml sia di Pfos che di Pfoa.

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GIORNATA CONTRO I CRIMINI AMBIENTALI – DIFENDIAMO MADRE TERRA, 22 aprile 2017, fronte Miteni. Tutti in marcia – uniti – per fermare l’ingiustizia. Foto Archivio CCC

Inizio questa nota portando emblematicamente quella che sembra l’attuale linea delle Autorità regionali: i Pfas sono ovunque, siamo tutti un po’ intossicati, quindi… non possiamo farci niente…, quindi mal comune mezzo gaudio…, quindi non pensiamoci troppo…

I PFAS rappresentano un enorme problema di salute pubblica in quanto è un rischio elevato nell’ambiente di lavoro, dove le sostanze si producono o si usano, per gli altissimi livelli che si possono trovare nel sangue, è un rischio elevato ambientale, per le popolazioni esposte all’inquinamento, per l’altissima numerosità delle persone intossicate, è un rischio emergente nell’ambiente di vita dove sono appena noti i pericoli, cioè le possibili fonti d’inquinamento, ma sono ancora tutte da definire le “magnitudo” dei rischi stessi. Non possiamo certo paragonare il pericolo rappresentato dal teflon, cioè di un polimero, di una pentola o di un capo di vestiario con una schiuma antincendio o una sciolina in polvere dove la sostanza non è polimerizzata.

Nel passato le Autorità di Sanità pubblica e la Comunità scientifica hanno affrontato e risolto problemi anche maggiori di questi, usando però metodi scientifici. La Regione, invece di collaborare con l’ISS, cerca ogni occasione per litigare e distinguersi dallo Stato non solo sui PFAS ma anche sulle vaccinazioni, sul Corona virus, ecc.,  e così zoppica nell’affrontare la questione dell’inquinamento ambientale e della contaminazione delle persone. Essa non si è ancora minimamente posta il problema dell’inquinamento nell’ambiente di vita, trattandolo come un evento naturale senza responsabili o addirittura ponendolo a giustificazione dell’inquinamento stesso.

Ricordiamo ai nostri Governanti che anche l’Ambiente di vita è un problema di Salute pubblica e quindi è un loro problema. Riporto a mero titolo di esempio e per sommi capi come fu affrontato il problema del piombo anche perché l’ho vissuto dall’interno mentre lavoravo all’Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università di Padova. Dagli anni ‘70 agli anni ‘90 l’intossicazione da piombo all’interno delle aziende è stato un rischio molto importante per la salute; la piombemia (concentrazione di piombo nel sangue) nei lavoratori esposti andava da 40 a 100ug/100ml; il valore più alto mai trovato nel Veneto proveniva da una fabbrica del Vicentino con 1000ug/100ml dove il povero operaio fu scambiato per pazzo e finì in cura psichiatrica per sintomi che invece erano riferibili all’intossicazione. Per fortuna il piombo non è mutageno né cancerogeno, né si accumula nell’organismo come i PFAS ed inoltre esistono dei farmaci chelanti che provocano la sua eliminazione con le urine. Il problema di quali fossero i limiti di piombemia ammissibili per i lavoratori esposti era strettamente connesso con i “valori normali” nella popolazione. Partirono infatti molti Progetti finanziati dalle Istituzioni pubbliche in tutti i paesi occidentali per verificare i valori nelle popolazioni non esposte riscontrando piombemie intorno ai 20-30 ug/100ml; si scoprì che anche queste concentrazioni avrebbero potuto ancora provocare effetti subclinici specie nei nascituri e che la causa di questo aumentato assorbimento di piombo nella popolazione era dovuta al piombo tetraetile contenuto come antidetonante nelle benzine. Si scoprì anche che esistevano casi di intossicazione nell’ambiente di vita di cui il più comune era quello dovuto al vasellame trattato con vetrine al piombo che entravano in soluzione in ambiente acido. Fondamentale in questa enorme azione conoscitiva e di prevenzione era la disponibilità in quasi tutti i laboratori pubblici e privati dell’analisi della piombemia che ben presto i medici impararono ad usare. Ricordo, ad esempio, diversi interventi formativi sulla tossicità del piombo promossi dall’Ordine dei Medici di Vicenza proprio per essere in grado di riconoscere le intossicazioni professionali dei propri Pazienti. Il piombo venne progressivamente vietato nelle benzine in tutto il mondo, in Italia dal 31 dicembre 2001. In pochi anni il piombo non è più stato un inquinante ambientale ed oggi l’intervallo di riferimento del piombo nel sangue per la popolazione, non esposta professionalmente, va da 0 a 15 ug/100ml.

I Comitati chiedono che sulla questione PFAS ci sia un approccio scientifico e non politico, un approccio razionale e non schizofrenico. Andiamo con ordine:

1-   Il monitoraggio della popolazione delle aree inquinate. Il monitoraggio è iniziato nel gennaio 2017: a tutt’oggi non esistono risultati in quanto i Report pubblicati dalla Regione non hanno alcun valore epidemiologico perché i dati di esposizione e di effetto non sono riferiti alle singole persone. Il Report n. 11 riguarda i dati completi su ben 37.200 residenti nell’Area rossa, estratti al 18/12/2019. Tutti (i residenti delle aree inquinate, i Veneti, la Comunità scientifica internazionale) chiediamo a gran voce che escano questi dati almeno come Progress Report, non esiste alcuna giustificazione tecnica per ritardare i dati in quanto basta la conclusione dell’analisi statistica. In definitiva una richiesta urgente da porre alla Regione è quella di conoscere i risultati del monitoraggio.

2-   I “valori normali” e i valori di contaminazione di PFAS nel sangue. Abbiamo già detto che la determinazione della dose interna (PFAS nel sangue) di composti tossici in popolazioni contaminate è strettamente legata alla determinazione dei cosiddetti valori normali di popolazione. Di solito si studiano alcune migliaia di persone non esposte professionalmente né ambientalmente e si valutano le possibili fonti espositive nell’ambiente di vita e i fattori influenzanti (età, genere, alimentazione, tipo di acqua, uso di materiali contenenti PFAS, ecc.), quindi si calcola l’intervallo di riferimento generalmente tra il quinto e il 95esimo percentile. Mentre non conosciamo i valori normali del laboratorio ARPA di Verona citati dal Dr. Bizzotto, gli unici valori normali che conosciamo sono quelli pubblicati dall’ ISS (Ingelindo et al. 2010 su 230 persone del Lazio e di Brescia e Ingelindo et 2017 su 250 persone del Veneto 2017); gli stessi dati del Veneto sono riportati nella CTU per il Tribunale di Vicenza:

tab 1 sarto

I controlli provengono dai paesi di Dueville, Resana, Treviso, Loreggia, Fontaniva, Carmignano e Mozzecane. L’ISS ha trovato che esiste una correlazione statisticamente significativa tra livelli nel sangue e distanza dall’Area inquinata tanto che conclude: «…ma soprattutto la correlazione diretta tra concentrazione nel siero e prossimità del comune di residenza con l’area contaminata, forniscono una indicazione di una probabile estensione della contaminazione ambientale alle aree geografiche adiacenti a quelle direttamente interessate»; il motivo ragionevolmente più plausibile è quello che i paesi più vicini all’inquinamento utilizzano cibi provenienti da quelle aree. I limiti dello studio sono evidenti: a) il campione è poco numeroso, b) nel comune di Fontaniva è stato trovato un individuo con valori elevati di PFOA ed elevatissimi di PFOS (più alto anche degli esposti), è un valore anomalo che andava giustificato e tolto in quanto altera la media, c) il laboratorio dell’ISS è diverso da quelli utilizzati per il monitoraggio degli esposti.

Per gli esposti la Regione riporta i seguenti dati:

tab 2 sartoLa richiesta alla Regione di rendere disponibili dei laboratori che eseguono l’analisi dei PFAS nel siero contribuisce a migliorare la salute dei cittadini perché permette la prevenzione e la diagnosi di alcune malattie, essenziale per le giovani coppie che si accingono a procreare, le donne in gravidanza e i pazienti affetti da patologie correlate, perché risponde al diritto dei cittadini di conoscere i determinanti di salute e malattia, inoltre i laboratori possono contribuire a costruire i valori normali per la popolazione che attualmente sono riferiti a poche centinaia di persone, infine si possono scoprire casi non noti di esposizione professionale, di esposizione ambientale, di esposizione domestica, cosa che può permettere anche di definire meglio i modi di contaminazione.

Franco Sarto
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17 FEBBRAIO 2020

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Segue LETTERA INVIATA VIA PEC in data 3 febbraio 2020.

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BONIFICA PER LA VITA, 20 ottobre 2019. Manifestazione tra le calli di Venezia. Foto di Federico Bevilacqua

All’Assessore Regione Veneto alla Sanità e Sociale
Manuela Lanzarin
p.c.
Al Ministro della Salute
Roberto Speranza
p.c.
Ai Presidenti delle Province di
Padova – Verona – Vicenza

Vicenza, 31 gennaio 2020

Oggetto: Impossibilità di eseguire il dosaggio dei PFAS nel plasma per i residenti nel Veneto.

Le scriventi Associazioni, che rappresentano le istanze delle popolazioni delle Province di Vicenza, Padova, Rovigo e Verona coinvolte nell’ inquinamento da Pfas, si fanno portavoce di un diritto sancito dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo – che attualmente a nostro avviso non viene garantito in Veneto – di poter accedere alla prestazione sanitaria per il “dosaggio dei PFAS nel sangue”.

Visto che:

Il disegno dello Studio sperimentale regionale sul monitoraggio delle concentrazioni di Pfas nel sangue dei residenti nella zona rossa viene eseguito su una parte e non sulla totalità della popolazione interessata, stante l’esclusione di alcune fasce d’età della zona a massimo impatto sanitario;

Le popolazioni delle altre zone a rischio (zona arancio e zone di attenzione) sono escluse dallo Studio sperimentale, così come lo sono le popolazioni residenti in prossimità di discariche o siti contaminati al di fuori delle zone già individuate (vedi la recente scoperta dell’inquinamento nei pozzi in prossimità della discarica di Pescantina e di alcuni pozzi a Vicenza); Vedi report ARPAV sui punti di massima pressione relativa all’inquinamento da PFAS; 

Ad esempio, bollette alla mano, nei paesi di Montecchio, Arzignano e Montorso gli acquedotti forniscono acqua contenente Pfas, seppur al di sotto dei limiti imposti con la DGR n. 1590/2017, che comunque non limitano la bioaccumulabilità delle sostanze POP/Pfas. Evidenziamo come tali sostanze possano essere ingerite anche da donne che si apprestano a programmare una gravidanza, ignare del rischio gravissimo per il feto e il futuro dei figli, ammesso che riescano  a portare fino in fondo la gravidanza (preeclampsia e aborti);

– L’ISS ha dimostrato nel suo ultimo report la presenza massiva di PFAS in alcuni prodotti alimentari della Zona Rossa e  il passaggio degli stessi agli umani attraverso la catena alimentare, fatto noto da tempo. Tale contaminazione avviene attraverso l’assunzione di alimenti contaminati provenienti dalle zone a massima esposizione, o per altre vie collaterali (la Miteni scaricava anche via aerea, mediante inceneritore, verso Montecchio e Arzignano). La contaminazione avviene anche per zone al di fuori del percorso del plume attraverso gli acquedotti contaminati, come testimoniano i dati delle bollette. La contaminazione riguarda anche residenti al di fuori delle zone rosse, o in prossimità delle stesse, residenti oggi esclusi in toto dal monitoraggio;

I Laboratori che eseguono le analisi, l’Ospedale di Arzignano e il Dip. ARPAV di Verona, e il Distretto di Lonigo, da noi interpellati, escludono la possibilità di accedere alla prestazione, anche a pagamento, per coloro non compresi nel protocollo regionale;

Da un rapido censimento risulta che nessun laboratorio né pubblico né privato nelle Province interessate dall’inquinamento esegue l’analisi su richiesta del privato;

La conoscenza del livello di contaminazione propria e dei propri figli in aree inquinate rappresenta un diritto inalienabile necessario alla Salute delle Persone e una precondizione alla prevenzione primaria;

Oggi la conoscenza del livello di contaminazione da inquinanti ambientali e nella fattispecie da Pfas rappresenta un parametro indispensabile al corretto inquadramento causale della situazione clinica della persona da parte del Medico di Medicina Generale e/o del Medico Specialista per la Prevenzione, Diagnosi e Cura di determinate patologie. 

Si chiede alla SV:

Di rendere edotti gli scriventi se risponda al vero la volontà della Regione di escludere dall’analisi, anche a pagamento, tutti coloro che non rientrano nel Protocollo dello Studio e di chiarire quali siano le motivazioni di questa decisione.

Di riservare  a breve una quota di accessi su interesse del privato all’analisi dei Pfas nel plasma presso i Laboratori pubblici di Arzignano e dell’Arpav di Verona. L’accesso potrebbe avvenire su richiesta del MMG con pagamento del ticket o su richiesta di un medico di fiducia, quindi come qualsiasi altra analisi erogata dal SSR.

In subordine, di elencare una serie di Laboratori privati che eseguono le analisi ad un costo convenzionato con la Regione.

Auspicando una sollecita risposta ed un congruo impegno da parte della SV, porgiamo distinti saluti.

LEGAMBIENTE  VENETO, il presidente Luigi Lazzaro

GREENPEACE ITALIA, resp. campagna inquinamento Giuseppe Ungherese

PFAS.LAND, il coordinatore Alberto Peruffo

CiLLSA,  i portavoce Donata Albiero, Walter Rasia Dani  

RETEGAS VICENTINA, la portavoce Marzia Albiero

COMITATO ZERO PFAS AGNO CHIAMPO, i portavoce Giovanni Fazio, Claudio Lupo   

MAMME NO PFAS Genitori attivi zone contaminate

COMITATO ZERO PFAS Montagnana

COMITATO ZERO PFAS PADOVA, Danilo Del Bello

MEDICINA DEMOCRATICA, Maria Chiara Rodeghiero

ITALIA NOSTRA MBV, il presidente Valeria Bolla

ASS.CARACOL OLOL JACKSON, Massimiliano Tombel

MOVIMENTO AMBIENTE E VITA (Pescantina-Verona), il presidente Gianluca Godi

RIMAR lancio FB 3
IL VENETO NON POTEVA NON SAPERE – Leggi la nota storica su FB di Alberto Peruffo sulla fotografia degli operai della Miteni anni 70

Foto Cover >> Manifestazione di operai e sindacati fine anni 70 a Vicenza. Prima linea del Consiglio di Fabbrica RIMAR (futura MITENI), Valle dell’Agno, denuncia il pericolo ambientale e l’attentato alla salute. Foto Archivio Enzo Ciscato FLM Acciaierie.

CS ufficiale di Legambiente Veneto >> http://www.legambienteveneto.it/2020/02/05/pfas-e-diritti-non-garantiti/

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