31 dicembre 2020 | LA TERRA DI SOTTO. VIAGGIO NEL CONTAMINATO NORD – UN LIBRO FONDAMENTALE PER DISSOTTERRARE IL FALLIMENTO DELLA POLITICA IPERPRODUTTIVISTA E CAMBIARE PASSO

di Comitato di Redazione

Con grande responsabilità di scelta e di lettura, vi sottoponiamo una specie di anteprima digitale del libro di Luca Quagliato e Luca Rinaldi, uscito di recente per Penisola Edizioni. Un’anteprima che vuole essere più di una recensione. Un accompagnare il futuro lettore all’interno del libro, sfogliandolo insieme e sottolineando alcuni passaggi che riteniamo esemplari e che possano indurvi ad approfondire l’argomento, richiedendo il prezioso volume – in brossura a filo, 230 pagg, stampa a colori di qualità – presso gli autori, l’editore o la nostra libreria.

Seguiamo il lavoro di Luca Quagliato e Luca Rinaldi fin dal suo farsi. Qualcuno tra i nostri lettori e attivisti ricorderà la presentazione del progetto e una prima mostra di alcuni degli scatti durante le nostre GIORNATE CONTRO I CRIMINI AMBIENTALI del 2019, a Vicenza, presso gli spazi di Porto Burci e l’Auditorium dei Carmini. Vedere ora il progetto compiuto e confezionato con grandissima cura dall’editore Steve Bisson – docente al Paris College of Art in Photography and Image-making – fortifica le nostre prime impressioni e pure motiva il nostro lavoro di attivisti e ricercatori.

Luca Quagliato, milanese, fotografo di grande sensibilità nei rapporti umani e sociali che situazioni estremamente critiche richiedono, dotato di grande abilità tecnico-compositiva, trova nelle parole del giornalista Luca Rinaldi, lombardo anch’egli, il miglior contrappunto storico-concettuale per accompagnarci con rigore ed efficace sintesi in un viaggio che offre più sorprese per il nostro immaginario dell’obsoleto – in termini di malefatte – Inferno Dantesco. Stiamo infatti attraversando i nostri territori, i luoghi dove abitiamo e dove il nostro sguardo superficiale – indotto e condotto dalla nostra formazione culturale – surfa (veleggia), come fossimo su una tavola da surf, senza mai entrare in profondità, senza mai mettere l’occhio dentro alla putrescenza artificiale della terra, alla discarica di noi stessi, all’interno di orribili capannoni o di fosse a fondo perduto.

Non ci sono dubbi. Se i programmi di Liceo o degli Istituti Tecnici Superiori dedicassero un’ora alla settimana all’Inferno dei nostri territori sottraendola all’analisi dell’Inferno Dantesco e alle materie ipercognitiviste (v. Maritain, Morin, Recalcati e c.) dell’Azienda Scuola, tutta protesa a creare futuri servi di un sistema di cui conosciamo i risultati, la civiltà delle nostre terre cambierebbe passo e forse si ritornerebbe a un equilibrio umano/natura – riconfigurato – oggi più che mai necessario dopo due secoli di crescita continua ed ossessiva, crescita illimitata che ha portato alla devastazione dell’anima – acqua, aria, suolo – dei nostri territori e alla crisi climatica contemporanea.

È ora di passare alle immagini e alle parole di questo fondamentale strumento che oggi vi presentiamo tra i nostri libri. Come auspicio di lotta e rinascita per il 2021.

Buon anno.
Alberto Peruffo
Comitato di Redazione PFAS.land
31 dicembre 2020

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Dall’introduzione
“La Terra di Sotto” e il legame tra ambiente e società
di Luca Rinaldi:

«[…] Queste sono solo alcune vicende rilevanti che piantano le loro radici all’inizio del ‘900, ma che sprigionano i loro effetti lungo tutto il secolo e che ad oggi in parte risultano ancora irrisolte. Se è vero, come è vero, che l’assenza di particolari strumenti legislativi e giuridici ha favorito la nascita di stabilimenti all’inizio del ‘900 che hanno potuto inquinare lungo tutto il secolo breve, dall’altra parte nel momento in cui si è avuta conoscenza e coscienza che gli effetti di produzioni, sostanze e scarichi avessero un impatto sulla salute dell’uomo e sull’ambiente circostante ha prevalso la logica del profitto e del progresso a tutti i costi, anche delle vite umane.

Sono proprio i casi Eternit e Caffaro e più recentemente il caso relativo all’inquinamento da Pfas (VN.49) di una tra le più grandi falde acquifere d’Europa, nel nostro nord Est, che hanno mostrato questo lato della medaglia. Scorrendo le vicende, anche processuali, scaturite da questi grandi casi di contaminazione ambientale si incrocia spesso la volontà di nascondere la polvere (o meglio l’inquinamento) sotto il tappeto. Ingaggio di grandi società di consulenza e comunicazione pronte ad ammorbidire la stampa, la politica, gli organismi di controllo e comitati sul territorio, arrivando addirittura a nascondere risultati di accertamenti medici e ambientali quando non addirittura alla corruzione del pubblico funzionario. Il ‘900 è stato un secolo complicato che ha visto inoltre inasprirsi la dicotomia tra lavoro e diritto alla salute, fino a diventare ricatto. In questo senso il caso più noto è sicuramente quello dell’Ilva di Taranto, ma l’industrializzato e avanzato nord non è da meno e citiamo il solo caso Miteni (VN.49), sempre relativamente all’inquinamento delle acque da sostanze perfluoroalchiliche. In questo contesto ha agito, fin dagli anni ‘60, un mix di noncuranza, assenza istituzionale e capitalismo d’assalto in cui a rimetterci sono stati solo ed esclusivamente i lavoratori dell’azienda e i veneti. 

Nel viaggio che troverete documentato in queste pagine, abbiamo percorso l’arteria che attraversa geograficamente e idealmente la grande industrializzazione del nord Italia […]».

Dal testo
Fluidità
di Luca Rinaldi:

«Una parte importante di questo viaggio ha riguardato il bene naturale più prezioso: l’acqua. […] 

La contaminazione delle acque è uno degli elementi più subdoli che sono stati tracciati e mostrati nelle fotografie di questo libro: da una parte anche a un occhio nudo e poco allenato risultano evidenti tracce di anomalie, dall’altra invece un paesaggio verde e rigoglioso può nascondere molecole mortali. […]

Allo stesso modo l’invisibile agli occhi ha caratterizzato la contaminazione da sostanze organiche perfluoroalchiliche, i cosiddetti Pfas (VN.49), in Veneto. Utilizzati per l’impermeabilizzazione dei tessuti e delle superfici per decenni sono stati scaricati nelle acque vicine alle industrie. Una delle più gravi emergenze ambientali mai affrontate in Italia e in Europa. Osservando il verde delle valli del Chiampo e dell’Agno è difficile credere di essere di fronte a un problema di tale portata, ma queste sostanze sono incolori, inodori e insapori. Così nel triangolo tra Vicenza, Verona e Padova la contaminazione è arrivata a toccare 180 mila chilometri quadrati di superficie coinvolgendo 50 comuni e 350 mila persone. Gli studi più recenti mostrano come questi composti siano correlati all’insorgere di tumori e infertilità, andando ad agire sul sistema endocrino. Ancora una volta una vicenda di inquinamento industriale, di reticenze, di assenza delle istituzioni e di finanza corsara: da decenni gli stessi produttori erano a conoscenza della tossicità dei composti e dell’impatto sulle acque. Eppure le ricerche interne dei grandi produttori negli Stati Uniti, la DuPont su tutti, sono rimaste nei cassetti. La stessa azienda nel 2017 si è accordata in seguito a una class action portata avanti dall’avvocato Robert Billot per un maxi risarcimento da 671 milioni di dollari. Negli ultimi dieci anni intanto in Veneto uno dei maggiori produttore della sostanza, ma non l’unico, la Miteni (VN.49), ha dichiarato fallimento e oggi con i suoi manager del passato si trova a processo […]».

INDICE

Dal testo
Frammenti
di Luca Rinaldi:

«[…] Lungo questo percorso in cui abbiamo cercato di seguire il percorso del rifiuto e del suo riutilizzo in una chiave che poco ha a che fare con quella che viene definita economia green ci siamo imbattuti spesso in strade e autostrade. Molte volte interrotte, da completare, altre con una storia di inquinamento alle spalle. Storie in cui la strada è stata utilizzata come pretesto per tombare rifiuti sotto l’asfalto, esattamente in quella “terra di sotto”, dove l’occhio non può arrivare. Il caso della A-31 Valdastico Sud (VN.51) in Veneto a buon titolo sembra raccogliere tutti questi elementi. Ha scritto la commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti: «questa vicenda è sicuramente emblematica di una generale omertà di tutti gli operatori economici interessati che, pur nell’acclarata assenza di una cupola mafiosa, per mero profitto, adottano comportamenti illegali diffusi e perduranti, che nel loro insieme fanno “sistema”, in danno dell’ambiente». Doveva essere interamente costruita grazie al cosiddetto concrete green, un calcestruzzo preconfezionato composto per almeno il 10% da materiali riciclati e soprattutto prodotto in impianti al 100% di energia rinnovabile. Invece, si legge ancora agli atti della commissione parlamentare, i carotaggi disposti dalla procura di Venezia hanno rivelato non solo la presenza di cromo esavalente, ma, «anche la presenza di altri parametri fuori norma, ciò che consente di affermare che nel sottofondo dell’autostrada Valdastico Sud non sono state depositate materie prime secondarie, bensì rifiuti». Sotto il vestito buono del green si è dunque nascosta un’altra modalità di smaltimento illecito del rifiuto […]». 

ALCUNE PARTI DELL’IMPAGINATO

SEGUONO ALCUNI SCATTI ESTRATTI DAL LIBRO, CON LA DIDASCALIA DELL’AUTORE, LUCA QUAGLIATO

015 – Mantova – 2016

Un canale adiacente agli impianti Versalis del polo petrolchimico. Progettato a partire dall’immediato dopoguerra è collegato ai petrolchimici di Porto Marghera e di Ravenna. Il polo vede diverse società operare al suo interno nel processo di raffinazione e lavorazione di prodotti derivati dal petrolio. È identificato come origine di un inquinamento diffuso dei terreni e della falda acquifera.
Come nell’area in cui operava la Montedison (ora Versalis) dove sorge la “collina dei veleni”, area composta da 330.000 tonnellate di terreni contaminati prevalentemente da Mercurio. Per la bonifica integrale dell’area è prevista una spesa di oltre 80 milioni di euro che prevede la rimozione completa dei terreni e il conferimento in discariche specializzate.
019 – Trissino (VI) – 2017

La sede della Miteni e in primo piano l’area umida del Torrente Poscola. In questo torrente, in zona di ricarica di falda, sono stati sversate tonnellate di composti Perfluoroalchici (PFAS, PFOS, PFOA, GENX e altri) che venivano prodotti nello stabilimento chimico. Fondata dalla famiglia Marzotto nel 1965, nel tempo la proprietà è passata di mano tra Eni e Mitsubishi per poi finire nelle mani del gruppo lussemburghese ICIG, ultimo proprietario dello stabilimento. Oltre agli sversi provenienti dagli scarichi industriali, è stata confermata la presenza di rifiuti sepolti sotto il sito dell’azienda. Attualmente un complesso sistema di barriere idrauliche filtra l’acqua di falda che attraversa i terreni dello stabilimento, ma i comitati attivi nelle zone contaminate (tra cui le Mamme No-Pfas) spingono per una bonifica completa del sito e la rimozione delle fonti inquinanti. L’impegno di queste donne ha di fatto costretto la politica locale e nazionale ad occuparsi del problema e individuare delle soluzioni.
21 – Lonigo (VI) – 2018

Il cortile di un’abitazione viene innaffiato con l’acqua del pozzo privato che attinge da 30 mt. di profondità. L’acqua, analizzata, ha riportato una somma totale di PFAS di quasi 7500 ng/l. Il limite fissato dalla Regione Veneto è di 500 ng/l. I PFAS sono incolori, inodori e insapori. L’acqua del pozzo privato è stata usata in passato per l’irrigazione dell’orto, che ora viene irrigato con acqua proveniente dall’acquedotto filtrata con carboni attivi. I pozzi privati delle singole abitazioni sono uso comune in una zona dove la risorsa idrica è sempre stata abbondante e di facile reperibilità. Molti di questi pozzi non sono censiti e vengono tutt’ora utilizzati dalla popolazione per irrigare e abbeverare gli animali.
039 – Marcon (VE) – 2019

Scorie industriali stoccate in uno dei capannoni della Nuova Esa, società che operava nel campo del trattamento di rifiuti anche pericolosi. All’interno del sito giacciono abbandonate scorie industriali, liquidi corrosivi e pericolosi per la salute dell’uomo, rifiuti plastici. Il sito di stoccaggio nel 2019 è stato interessato da una nuova fase di bonifica, che consisterà nella rimozione dei rifiuti presenti prima di poter procedere alla caratterizzazione dei terreni per la valutazione dell’inquinamento presente nell’area. Il procedimento a carico dei responsabili dell’abbandono e della gestione illecita dei rifiuti si è chiuso con la prescrizione dei reati e le operazioni di bonifica sono ora a carico della Regione Veneto.
060 – Montichiari (BS) – 2016

Una giornata di lavoro nella discarica per rifiuti pericolosi Valseco.
Montichiari, e la frazione di Vighizzolo in particolare, ospita 16 discariche sul territorio comunale. Ex-Cave convertite a depositi per lo stoccaggio di rifiuti di ogni genere: dal rifiuto solido urbano fino all’amianto e altri rifiuti pericolosi. I cittadini lamentano gli odori e l’esposizione a un costante pericolo di contaminazione, oltre che a un generale sfruttamento e abuso di un territorio utilizzato come “discarica d’Italia”.
Della brughiera di pianura che caratterizzava l’area non rimane quasi più nulla, aprendo a uno scenario paesaggistico mutato irrimediabilmente con la creazione di colline artificiali impermeabilizzate.
068 – Cerro al Lambro (MI) – 2015

Parte delle opere di impermeabilizzazione nel SIR Gazzera. Il fu SIN (attualmente classificato come SIR – Sito di Interesse Regionale) Gazzera fu una discarica abusiva di melme acide frutto di lavorazioni industriali. Le ricognizioni aeree mostrano come l’area sia stata utilizzata come discarica nell’arco di 30 anni, arrivando a riempire le anse e modificare l’andamento del fiume Lambro che scorre a poche decine di metri. L’area della discarica è stata messa in sicurezza all’inizio degli anni 2000, ma la comparsa sulla scena di un imprenditore come Giuseppe Grossi ne ha di fatto rallentato il processo di bonifica. Nel frattempo, nuove indagini ambientali puntano a mappare l’estensione reale dell’inquinamento causato dagli sversamenti, allargando di fatto l’area interessata. Gazzera è considerato uno dei siti con la più alta concentrazione di veleni in Italia.
070 – Balangero (TO) – 2019

Attiva per quasi un secolo, l’amiantifera di Balangero è stata una delle più importanti cave di amianto in Italia, arrivando a produrre 40.000 tonnellate all’anno di fibra di amianto. Si lavorava scavando “a gradoni”, scaricando poi gli scarti di lavorazione sui fianchi della montagna, in enormi discariche incontrollate e pericolose per l’ambiente e la salute di lavoratori e cittadini. Tra i proprietari dell’amiantifera figura anche l’Eternit, l’azienda incriminata per le migliaia di morti provocate dall’esposizione all’amianto a Casale Monferrato. Con la chiusura del sito all’inizio degli anni ‘90 si inizia anche a parlare di bonifica: il sito viene inserito tra i SIN (Siti di Interesse Nazionale) e le operazioni continuano tutt’ora. L’obiettivo è quello di limitare la dispersione delle fibre di Amianto nell’ambiente circostante. Nel corso degli anni le indagini epidemiologiche hanno accertato le morti per mesotelioma pleurico di più di 200 fra ex lavoratori della miniera.
075 – Desio (MB) – 2015

Discarica abusiva di via Molinara – Resti dei rifiuti sepolti emergono dalla vegetazione spontanea nata dopo anni di abbandono dell’area. Nel 2008, durante l’operazione di polizia denominata “Star Wars” viene documentato un traffico illecito di rifiuti gestito da affiliati della ‘ndrangheta. I rifiuti (oltre 180.000 tonnellate) furono smaltiti nella ex cava fino a 10 metri di profondità. La tipologia di rifiuti conferita è mista e non se ne conosce la composizione dettagliata, ma è accertata la presenza di amianto, Cromo esavalente e Idrocarburi nei cumuli superficiali. Negli ultimi anni il sito è utilizzato in via informale come pista da motocross e l’accesso all’area è libero.
078 – Porto Marghera (VE) – 2019

Uno scafo di un imbarcazione in abbandono all’interno dell’Area ex Sirma.
094 – Porto Marghera (Venezia) – 2019

Le fiaccole in azione della Versalis (Eni). Le fiaccole si azionano quando gli impianti vanno in blocco per errori nella produzione o per lo scattare dei sistemi di sicurezza. Porto marghera è un’area industriale artificiale sviluppatasi all’interno del sistema lagunare di Venezia. Le storie di criticità ambientale legate al polo petrolchimico e alla presenza degli insediamenti industriali in laguna sono decine, alcune famose altre meno. Resta che la presenza degli insediamenti industriali in laguna ha provocato la compromissione degli ecosistemi naturali e tutt’ora si sta lavorando per arginare il continuo percolare di inquinanti dalle terre di Porto Marghera alle acque della laguna. La presenza di lavorazioni pericolose e materiali fortemente inquinanti espone la popolazione lavoratrice e residente nelle vicinanze a un rischio ambientale elevato durante i frequenti incidenti occorsi nell’intera zona industriale.
100 – Pernumia (PD) – 2016

Le abitazioni della frazione di Granze, al confine tra il comune di Battaglia Terme e di Pernumia. Sullo sfondo, il capannone della ex C&C, in cui sono stoccati illegalmente più di 50.000 tonnellate di rifiuti pericolosi, la maggior parte provenienti da combustione nell’ambito di processi industriali.
Gli scarti venivano accumulati in due capannoni, e solo l’attenzione della cittadinanza, che si è distinta per la segnalazione di attività sospette e ha addirittura recuperato un frammento di materiale caduto da un camion per sottoporlo ad analisi indipendente, ha scongiurato che le attività illecite della C&C continuassero con il rischio di grave contaminazione del territorio.

ANTOLOGIA DELLA PARTE FINALE DELL’IMPAGINATO CON IL TESTO DI MATTEO AIMINI E LE TAVOLE DATI CURATE DA MASSIMO CINGOTTI

HYPERLINK

Il sito ufficiale dove ordinare il libro e trovare tutte le informazioni >> https://www.laterradisotto.it/info@laterradisotto.it

La presentazione del Progetto/Libro durante LE GIORNATE CONTRO I CRIMINI AMBIENTALI 2019 >> https://pfas.land/2019/11/27/21-novembre-2019-i-crimini-ambientali-come-tema-di-un-dibattito-collettivo/

La nostra Libreria Sportello No Pfas, dove sfogliare e trovare il libro, a Montecchio Maggiore – VICENZA (a 7 km dalla Miteni) >> https://casacibernetica.cloud/libreria-lcdg/

I NOSTRI LIBRI PRECEDENTI

NON TORNERANNO I PRATI. STORIE E CRONACHE ESPLOSIVE DI PFAS E SPANNOVENETI di Alberto Peruffo >> https://casacibernetica.cloud/2019/03/18/non-torneranno-i-prati-in-libreria-cierre-pubblica-il-primo-libro-di-alberto-peruffo-storie-e-cronache-esplosive-di-pfas-e-spannoveneti/

UNA VALLE NELL’ANTROPOCENE. L’UOMO COME AGENTE GEOLOGICO NELLA VAL D’ASTICO di Dario Zampieri >> https://edizioni.cierrenet.it/volumi/una-valle-nellantropocene/

alberto_peruffo_CC

Comitato di Redazione
31 DICEMBRE 2020

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