18 febbraio 2021 | SI POSSONO INCENERIRE I PFAS? NO. MUTANO, SI DIFFONDONO, COSTANO. IL PUNTO SCIENTIFICO E LA QUESTIONE INCENERITORE DI FUSINA

di Giovanni Fazio

Da molti anni si profila all’orizzonte del Veneto una richiesta di linee di incenerimento molto superiore alla quantità di rifiuti prodotti nella stessa nostra Regione. In parole povere, un business sui rifiuti. E sulla salute della gente. Non solo: questa richiesta va in controtendenza con ciò che dovrebbe essere una politica che sia veramente ecologica e attenta al riciclo, al riuso, alla differenziazione degli stessi rifiuti, “non solo” civili, ma anche industriali. Su questo ultimo super-ambito entra a spada tratta la questione molecole PFAS, sconfinando perfino – come scopriremo in questo pionieristico articolo – nei rifiuti civili, tanto sono diffuse e dotate di grande mobilità le sostanze in oggetto.

Il fallimento della termodistruzione dei PFAS aggiunge un nuovo ulteriore elemento che mette seriamente in discussione l’efficacia degli inceneritori di rifiuti – come quello proposto per Fusina – aggravando ancora di più la liceità liberticida di chi permette queste pratiche in zone densamente abitate. Infatti, la diffusione dei perfluoalchilici attraverso le emissioni delle ciminiere rende estremamente e indiscutibilmente pericoloso questo tipo di impianti, oggi più che mai, dopo la “scoperta sociale” di queste sostanze, sostanze che hanno reso il Veneto protagonista di uno dei più grandi disastri socioambientali al mondo, quello delle Valli dell’Agno e del Chiampo. 

Leggiamo l’importante premessa del Documento 49 del Ricorso al TAR depositato il 5 gennaio 2021 dal Comitato Opzione Zero, insieme con molti altri soggetti contrari al nuovo progetto della società Ecoprogetto Venezia srl:

«La presente relazione tecnica si pone come obiettivo preliminare quello di esemplificare alcune nozioni di base in merito alle caratteristiche chimico-fisiche delle sostanze PFAS, all’impatto che queste hanno sull’ambiente, e alla loro pericolosità per la salute umana e degli altri esseri viventi. […] La relazione illustra come il tema dello smaltimento di alcune tipologie di rifiuto (fanghi e percolati di discarica) oggetto della proposta progettuale autorizzata, sia strettamente connesso con il problema dell’inquinamento da PFAS in Veneto. Sono inoltre evidenziate le carenze di istruttoria nella fase di valutazione di impatto ambientale, il non rispetto del principio di precauzione, nonché i gravi rischi derivati dal fatto che il Provvedimento autorizzativo unico regionale (PAUR) di cui al Decreto del Direttore dell’Area Tutela e Sviluppo del Territorio consente l’incenerimento di considerevoli quantità di fanghi di depurazione civile contaminati da PFAS nelle linee L1 e L2 senza gli approfondimenti e le precauzioni necessarie ai fini della protezione della salute pubblica e della tutela dell’ambiente».

La considerazione della impossibilità concreta di distruggere i PFAS con le alte temperature mediante inceneritori – problema inserito da Biden tra i primi da risolvere appena insediato, specie per le schiume antincendio – investe oggi la ricerca scientifica tout court, concentrata sulla scoperta di nuove molecole non tossiche da sostituire ai PFAS e alla relativa messa al bando delle stesse (più che semplicemente a “limitarle”), come sta capitando nei paesi del Nord Europa. La presenza dei PFAS anche nelle acque di scarico trova in queste nuove constatazioni sulla loro indistruttibilità nuove solide argomentazioni per richiedere con forza l’attuazione in ottica sistemica del Patto Accordo Stato Regione 2005 (mai ottemperato, specie nella valli della concia e del Tubone Arica) per la protezione delle acque e la verifica del mancato rinnovo del piano rifiuti da parte della stessa Regione Veneto. Le Amministrazioni regionali insieme con Confindustria e altre parti produttive della Regione Veneto (Coldiretti compresa) finora sembrano aver navigato a vista solo dei profitti, a scapito della salute delle popolazione che realmente abita i territori. Profitti spesso in mano a forze multinazionali, come Eni, Miteni, Montedison dimostrano. L’inceneritore di Fusina va quindi bloccato.

Di più: legato al fallimento dell’incenerimento si apre un’altra inquietante questione che finora era rimasta sopita nelle discariche e nei filtri a carboni attivi. Noi tutti sappiamo che nelle discariche – ad esempio di Torretta e di Pescantina, per fare il nome di due tra le più importanti – afferiscono fanghi (v. Documento Arpav in calce) che producono percolati; fanghi e percolati la cui fine per anni è stato l’incenerimento, spesso in altre regioni, quando non venivano avviati ad essere trasformati in ammendante compostato da spargere nei campi. Lo stesso avviene per la parte non-rigenerata, esausta, delle tonnellate di carboni attivi che sono utilizzati per purificare le acque potabili dai PFAS nelle aree contaminate: dopo il trattamento di rigenerazione a vapore pressurizzato i reflui vengono avviati nel “migliore dei casi” all’incenerimento, come avviene regolarmente ad opera di un’azienda nel centro di Legnago. Lo stesso trattamento termico dei Carboni Attivi Granulari (GAC) secondo studi recenti mostrano criticità di temperature e di processo che mette in discussione la pertinenza di impianto di queste aziende “termovalorizzatrici” (v. Ricerca Springer Japan 2016 in calce), oltre all’inquinamento atmosferico. Miteni stessa gestiva tonnellate di carboni attivi per la sua barriera idraulica e aveva un “vecchio” inceneritore al suo interno.

Resta aperta la questione della firma dell’Assessore Bottacin per un nuovo co-generatore a metano, nel luglio 2017, in piena emergenza PFAS (v. Andrea Zanoni), nonostante il parere contrario della ULLS 8 (v. Cristina Guarda) e la richiesta da parte dei cittadini (interrogazione di Sonia Perenzoni) sulle emissioni in aria, avvenuta sempre nel 2017. L’Arpav stessa consegna uno studio tardivo nel 2019, a fabbrica chiusa, richiamando uno studio preliminare del 2017 che attesta che Miteni “bruciava” PFAS in grande quantità, “nascondendo” nell’unità di misura del primo documento – picogrammi al posto di nanogrammi (vedi *importante nota in calce) – e in un’indefinita area urbana generica le conclusioni di questa impressionante risultanza, alleggerendo l’impatto per le popolazioni di Trissino e Montecchio, dove il livello di tumori è molto alto, come a Legnago. Restando all’unità di misura “svelata”, i dati di immissione del maggio 2017 segnano 6270 picogrammi metri cubo del temibile allora “sconosciuto al popolo” PFBA, dando ulteriore prova della lavorazione dei catena corta, GenX e C6O4, con il consenso della Regione, dati alla mano.

Cosa si deduce quindi? Che con il ciclo carboni attivi-rigenerazione-fanghi-incenerimento si mette in pratica questo paradosso: si pulisce/potabilizza l’acqua dai PFAS – spendendo milioni di euro – per riconsegnarli in aria (mediante un camino) o negli alimenti (spargendoli come concime nei campi, già sottoposti ai depositi via aerea). Creando una platea enorme di potenziali ospedalizzati. Una specie di “economia circolare cancerovirtuosa” – cancerogena, ma virtuosa – una green ecomomy sanitaria che non uccide se stessa perché produce profitti per gli ospedali e per le cure, per i costosissimi filtri “sociali” e fisico-chimici (i GAC citati) alimentando il core business dei soliti noti, “vivificando” l’economia di grande scala. È ora di cambiare passo, di passare dalla tanto retorica “transizione ecologica” alla improcrastinabile “imposizione ecologica”, specie contro i grandi produttori. La “rivoluzione ecologica” non può essere una transizione in mano alla finanza. Tanto meno a chi ha distrutto ecologicamente la Regione Veneto.

Ringraziando i vari collaboratori nel passarci e nell’elaborare il prezioso materiale, tra cui Marco Caldiroli (Medicina Democratica), Franco Rigosi (già Arpav), Laura Facciolo (Mamme No Pfas. Montagnana), Giovanni Fazio (Cillsa. Arzignano), Mattia Donadel (Comitato Opzione Zero, Venezia), nel report che segue troverete la nostra analisi alla «Relazione Tecnica sui PFAS» del Ricorso TAR Fusina citato, con alcune sottolineature e integrazioni utili a una comprensione popolare dell’importante documento. Un primo passo per abbattere l’incenerimento. Anche di noi stessi.
Comitato di Redazione PFAS.land

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di Giovanni Fazio

Abbiamo attentamente letto l’elaborato sulla questione PFAS/INCENERITORE allegato al Ricorso TAR a firma dell’Ing. Franco Rigosi, presentato dal Comitato Opzione Zero insieme ad altri gruppi e associazioni che gravitano intorno all’area di Mestre e Marghera. Lo troviamo eccellente. Segue una nostra ulteriore analisi e precisazione sui punti dirimenti, utili a una comprensione popolare del documento, molto tecnico.

Leggi la PUBBLICAZIONE/pdf NR 7
di PFAS.land
>> RICORSO TAR FUSINA: RELAZIONE TECNICA SUI PFAS
di Franco Rigosi
[versione pdf stampabile]

A supporto della non dimostrata capacità di distruggere le molecole dei PFAS da parte degli inceneritori, neppure a temperature altissime, sono stati correttamente analizzati alcuni punti della risposta presenti nel Technical Brief dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti (EPA) datato 1 agosto 2019 dal titolo “Sostanze per e polifluoroalchiliche (PFAS): Incenerimento per la gestione di flussi di rifiuti PFAS” (allegato 5 del Ricorso).

Fondamentale è l’avere evidenziato chiaramente il fatto che permangono ancora molte incertezze circa lo smaltimento di queste sostanze attraverso la termodistruzione.

L’EPA afferma in alcuni passaggi del suddetto documento:

«I composti PFAS sono difficili da decomporre a causa dell’elettronegatività del fluoro e della stabilità chimica dei composti fluorurati. La distruzione incompleta dei composti PFAS può provocare la formazione di prodotti PFAS più piccoli o prodotti di combustione incompleta (PIC), che potrebbero non essere stati studiati e quindi potrebbero costituire potenziali sostanze chimiche pericolose».

«ll composto organico fluorurato più difficile da decomporre è il CF4, che richiede temperature superiori a 1.400° centigradi».

«L’efficacia dell’incenerimento per distruggere i composti PFAS e la tendenza alla formazione di sottoprodotti organici alogenati fluorurati o misti non è ben compresaPochi esperimenti sono stati condotti in condizioni ossidative e di temperatura rappresentative dell’incenerimento su scala di campo»

«Gli studi sulle emissioni, in particolare per i PIC, sono stati incompleti a causa della mancanza dei metodi di misurazione necessari, adatti per la caratterizzazione completa dei composti organici alogenati fluorurati e misti».

È un dato di fatto che l’EPA, che pure è un’agenzia di riferimento importantissima, dichiari che non vi è certezza sulla capacità di distruggere i PFAS da parte degli inceneritori e rincari la dose affermando che essi potrebbero trasformarsi in molecole più piccole, altrettanto pericolose. 

C’è un punto determinante nella lettera dell’EPA su cui dobbiamo concentrare la nostra attenzione e cioè che almeno uno dei pochi composti fluorurati, il CF4, di cui l’EPA ha studiato la resistenza al calore, richiede temperature al di sopra dei 1400 gradi centigradi per essere distrutto.

Nelle integrazioni Ecoprogetto Venezia srl si conferma che (solo) la linea 3 rispetta le condizioni imposte per l’incenerimento di questa tipologia di rifiuti di cui all’art. 237-octies comma 5 del D.lgs 152/2006, vale a dire il raggiungimento di una temperatura di 1.100 °C per almeno 2 secondi dei fumi qualora vengano inceneriti o coinceneriti rifiuti pericolosi contenenti oltre l’1% di sostanze organiche alogenate. 

L’evidenza scientifica succitata dimostra incontrovertibilmente che le temperature che Ecoprogetto Venezia srl asserisce di raggiungere per 2 secondi, sono assolutamente insufficienti per abbattere almeno uno dei PFAS “campione” di cui EPA ha studiato le caratteristiche. Sappiamo che uno degli obiettivi del ricorso agli inceneritori è quello di distruggere una enorme quantità di diverse molecole perfluoroalchiliche presenti nei fanghi dei depuratori civili e industriali e nei pozzetti delle discariche.

Non siamo riusciti a trovare all’art. 237-octies comma 5 del D.lgs 152/2006 elementi di riscontro determinanti sui Pfas, tuttavia è noto che nel 2006 c’erano pochissimi studi sui perfluorati e che da allora la conoscenza di tali molecole ha fatto notevoli passi avanti. La legge del 2006, qualora abbia prescritto i livelli termici citati da Ecoprogetto Venezia Srl, deve essere aggiornata alle conoscenze scientifiche attuali che, in ogni caso, la giurisprudenza non può ignorare a scapito della salute pubblica.

Alla luce di tali constatazioni possiamo dunque affermare con certezza che: 

  1. le temperature attualmente raggiungibili dall’inceneritore di Fusina non sono in grado di distruggere almeno uno dei composti fluorurati “campione” di cui è stata studiata la resistenza termica;
  2. non è nota la resistenza al calore di altre molecole perfluorate, abbondantemente presenti nei fanghi;
  3. l’esposizione ad alte temperature può scomporre alcune di queste molecole in composti più piccoli altrettanto pericolosi detti PIC.

Allo stato attuale, stando alle dichiarazioni succitate di Ecoprogetto Venezia srl non esistono, oggettivamente, le condizioni per garantire alcuna sicurezza in merito alla diffusione atmosferica dei PFAS da parte della linea 3 dell’inceneritore di Fusina. 

Maggiormente tale insicurezza è rappresentata dalle linee 1 e 2 che bruciano fanghi contenenti PFAS a temperature assolutamente insufficienti a determinare la loro totale distruzione termica.

Pertanto tale inceneritore – nella sua “organicità” sistemica, a più linee – risulta essere un’opera ad alto rischio per centinaia di migliaia di abitanti del veneziano e dovrebbe sospendere immediatamente l’attività fino a quando non si dimostri l’efficacia dello stesso per gli scopi per cui è stato costruito.

Sappiamo che, ad oggi, sono state prodotte più di 4.700 molecole di PFAS ma di queste, pochissime, come afferma l’EPA, sono state studiate. Inoltre sappiamo che ognuna di queste molecole ha caratteristiche chimico fisiche differenti dalle altre e quindi oltre al CF4 bisognerebbe studiare di ognuna il grado di resistenza al calore. Ma anche così facendo non saremmo ancora in grado di stabilire un valore termico di distruzione che comprenda tutte le molecole perfluoroalchiliche create e soprattutto quelle che si produrranno in futuro, visto che sempre nuove molecole vengono immesse nel mercato e di nessuna di esse i produttori indicano a quale temperatura possono essere distrutte.  

Del resto, la altissima resistenza al calore di queste molecole è uno dei motivi per cui vengono create. Va quindi applicato il Principio di Precauzione.

A conferma del rischio determinato dalla combustione dei PFAS negli inceneritori nuove documentazioni emergono dalla vicenda che ha interessato l’inceneritore dello stato di New York che si è reso responsabile di un inquinamento da PFAS di un intero comune e dei sobborghi, bruciando schiume antincendio (contenenti PFAS).

A causa di ciò, dopo una complessa vicenda che ha chiamato in causa anche il Dipartimento della Difesa, l’inceneritore è stato chiuso dall’Agenzia statale per la protezione dell’ambiente «fino a quando non sia dimostrato che sia in grado di distruggere i PFAS e di non disperderli nell’atmosfera».

Tutto ciò è riportato dall’articolo della rivista The Intercept che descrive con dovizia di particolari la vertenza tra stato di New York e la società Tradebe che ha portato alla chiusura dell’inceneritore Norlite perché la società non è stata capace di dimostrare che i PFAS presenti nelle schiume antincendio venivano distrutti dall’incenerimento.

leggi l’articolo originale di Sharon Lerner

Un secondo articolo della stessa rivista relativo all’incenerimento delle schiume antincendio da parte del Dipartimento della Difesa Americano è una conferma della estrema difficoltà, se non dell’impossibilità di distruggere i PFAS attraverso gli inceneritori.

Dalla lettura dell’articolo emerge che:

  1. nessun inceneritore statunitense è stato, fino ad ora, in grado di eliminare i PFAS. Altrimenti la questione non esisterebbe. È stato dimostrato che queste sostanze sono uscite dai camini degli inceneritori, in cui si è tentato di distruggerle, tali e quali o scomposte in molecole più piccole (PIC);
  2. a causa di ciò, il Dipartimento della Difesa, pur avendo inutilmente tentato di eliminarle bruciandole in diversi inceneritori, tra cui quello della Norlite, cosa per cui è stato chiamato in giudizio da Earthjustice e dal Sierra Club, è stato costretto a rinunciare allo smaltimento termico delle AFFF (schiume antincendio) e sta cercando di sostituire, con opinabile successo, il PFOS e il PFOA in esse contenuti con altre molecole, apparentemente meno inquinanti, impegnando somme altissime di denaro;
  3. l’effettiva utilità della termodistruzione dei PFAS dovrebbe essere dimostrata attraverso le analisi dei fumi e dei terreni prossimi agli inceneritori. Riteniamo però estremamente improbabile, se non impossibile che Ecoprogetto Venezia Srl possa riuscire in tale intento visto, tra l’altro, che ci si trova davanti a un gran numero di molecole PFAS molto diverse tra loro, alcune delle quali ancora poco conosciute, presenti nei fanghi e nei percolati (non avrebbe neppure le risorse economiche per una ricerca così importante);
  4. considerata dunque la comprovata, evidente, inefficienza degli inceneritori in merito alla termodistruzione dei PFAS e l’alto rischio cui sono esposte le popolazioni è opportuno adottare il Principio di Precauzione europeo, come suggerito nel Ricorso al TAR allegato, principio che si attaglia perfettamente a questo caso.

Da sottolineare che le schiume antincendio che hanno fatto scoppiare il caso degli inceneritori in America sono le stesse ampiamente utilizzate in Veneto presso aeroporti, caserme di pompieri, siti di incendi, caserme militari italiane e americane.

Tornando al ricorso, Ecoprogetto Venezia Srl ha sollevato delle obiezioni sulla possibilità o meno che i percolati delle discariche fossero o meno idonei ad essere bruciati, insieme ai fanghi, in tutte le linee del dell’inceneritore di Fusina. Ci sembra che dopo quanto detto, queste osservazioni siano inutili poiché né fanghi né percolati possono essere trattati termicamente senza mettere a rischio la popolazione. Tuttavia, onde rendere evidente l’assurdità della disquisizione delle differenze tra depuratori civili, industriali e percolati, è opportuno fare un piccolo excursus sui depuratori di casa nostra.

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PFAS E DEPURATORI NEL VENETO

Precisiamo che i depuratori nel Veneto sono delle strutture obsolete, concepite negli anni 80 secondo una logica ormai superata, che non teneva conto della raccolta differenziata, dei riciclaggi, della separazione dei rifiuti non depurabili, delle filiere produttive ecc. Si pensava allora che mescolando i reflui fognari si potesse, con sistemi chimico fisici, ottenere acqua potabile.

Ma la bacchetta magica, come è chiaro, ha fallito.

Per entrare nella tipologia di fanghi da avviare all’inceneritore bisognerebbe dimostrare e ricordare:

  1. che si tratta esclusivamente di fanghi di fognatura civile
  2. che, in quanto tali, siano esenti da PFAS e altre sostanze pericolose. Purtroppo l’armadietto sotto il lavello di ogni abitazione contiene un arsenale di veleni che vengono regolarmente sversati in fognatura. Inoltre è notorio che la stessa fine seguono i rifiuti delle lavanderie, considerati rifiuti ad altissima presenza di Pfas. Anche le feci, prodotto di scarto degli esseri umani, contengono una certa quantità di PFAS grazie all’alimentazione, ricca di alimenti contaminati da PFAS, prodotti nelle zone sovrastanti le falde inquinate e messi liberamente in commercio nella nostra regione senza alcun controllo. Pertanto, anche i depuratori “esclusivamente” civili, molto pochi in verità, non sono affatto esenti da PFAS e da altri prodotti tossici. 
  3. parlando del Vicentino e di Vicenza ricordiamoci della presenza delle basi militari americane – la vecchia Ederle e la nuova abnorme Del Din/Dal Molin (installata sopra la falda a nord di Vicenza) – grandi utilizzatrici di AFFF. Basi dove i dati Arpav sono oscurati o per niente dettagliati in fatto di prossimità, secondo quanto possiamo vedere nel nostro GIS;
  4. sempre nel Vicentino abbiamo il distretto conciario arzignanese, grande utilizzatore di sostanze che contengono PFAS (solo nel 2017 ne sono state acquistate a tal uopo 103 tonnellate). Questo grande complesso industriale usa per il proprio acquedotto acqua notoriamente contaminata da PFAS estratta dalla sottostante falda acquifera inquinata da Miteni (a un tiro di schioppo dal depuratore di Trissino). I dati della contaminazione dell’acqua usata dal distretto conciario sono riportati da ARPAV e quelli dei reflui, abbondantissimi di PFAS, nel dotto A.Ri.C.A. e nel Fratta Gorzone, idem;
  5. al mega depuratore di Arzignano affluiscono sia la fognatura civile che quella industriale;
  6. la suddetta separazione – “raccolta differenziata” – tra fanghi derivanti da depuratori civili e fanghi che provengono da quelli industriali pertanto nel caso specifico non esiste, come anche ammesso in una conferenza pubblica dall’economista del polo conciario Paolo Giurisatti a Vicenza, durante la Conferenza CHIARE, FRESCHE E DOLCI ACQUE 2018, a cui partecipammo come relatori ufficiali.
  7. i percolati provenienti dai pozzetti delle varie discariche distribuite su tutto il territorio, sono ricchissimi di PFAS, fatto che testimonia tra l’altro che l’uso di queste sostanze non è proprio recentissimo. Bruciarli significa solo spostare i PFAS dai pozzetti sotterranei all’atmosfera, concentrandoli, tra l’altro, nell’aria di Venezia, già di suo altamente compromessa.

Pertanto l’autorizzazione integrata ambientale (Decreto 47/2020) che autorizza l’incenerimento di fanghi di depurazione civile nelle linee 1 e 2 , non si può applicare per i motivi suddetti e cioè per la presenza dei PFAS ubiquitaria nei fanghi di depurazione (accertabile con analisi se lo si desidera) e pure per la temperatura raggiunta dai bruciatori che non supera gli 850 gradi centigradi e pertanto inadeguata allo scopo.

Vero è che la XIII Commissione permanente (territorio, ambiente, beni ambientali) giustamente si preoccupa, molto in ritardo però, dei danni enormi derivanti dallo spargimento di PFAS e altro nei campi, tuttavia il rimedio è peggiore del male che si vuole curare (esattamente come sta avvenendo negli USA per le schiume antincendio) poiché concentrare i PFAS nell’aria di Venezia e dei comuni limitrofi attraverso una emissione permanente di fumi ricchi di PFAS, prodotta giorno e notte da Veritas, non è la migliore delle soluzioni, ma la peggiore. Evidentemente i nostri parlamentari non ci sono ancora arrivati, ma l’unico modo per eliminare il problema dei rifiuti tossici e cancerogeni è quello di non produrli: ossia di bandire le sostanze tossiche – non controllabili a circuito chiuso e smaltibili per confinamento, in caso di necessità – dalle produzioni e dai consumi. 

Non entriamo nel merito dei gravissimi danni alla salute dei cittadini e soprattutto dei bambini già descritti nei due appelli dei pediatri e dei colleghi medici veneziani, bellamente ignorati dai proponenti commerciali e istituzionali dell’inceneritore, tuttavia riteniamo che sia importante e fortemente attuale un ulteriore studio danese che ha scoperto che le persone con livelli elevati di un composto chiamato PFBA, presente anche nelle nostre acque potabili, avevano più del doppio delle probabilità di avere una forma grave di Covid-19. Lo riportiamo da un servizio della rivista The Intercept del 20/12/2020: PFAS Chemical Associated With Severe Covid-19.

Stabilito che l’incenerimento di sostanze contenenti PFAS li propaga nell’atmosfera, ne consegue che, oltre alle altre malattie e modificazioni epigenetiche, che si trasmettono alle successive generazioni, esso genera una diminuita attività immunitaria e una accresciuta mortalità per Covid19.

Non riteniamo di aggiungere altro alla relazione del Comitato Opzione Zero che ha raggiunto un livello molto alto di appropriatezza e professionalità, facendo confluire le conoscenze condivise dal mondo della scienza e dell’impegno civile, valorizzando le lotte comuni nei territori. Si tratta di un documento meticoloso e attento a tutti gli aspetti del problema. Le considerazioni contenute in questo report possono essere utilizzate anche dai comitati di Padova che lottano contro la minacciata quarta linea dell’inceneritore padovano.

Dott. Giovanni Fazio e il Comitato di Redazione PFAS.land

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18 febbraio 2021

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HYPERLINKS E GALLERIA APPROFONDIMENTI
Comunicato Stampa Congiunto Ricorso TAR Opzione Zero, 5 gennaio 2021 >> http://www.opzionezero.org/2021/01/05/c-s-congiunto-050121-depositato-ricorso-al-tar-contro-linceneritore-di-fusina/

DOCUMENTO ARPAV FANGHI PFAS 2012/2014 >> https://www.arpa.veneto.it/arpav/pagine-generiche/documenti/fanghi%20PFAS.pdf

DOCUMENTO ARPAV MATRICE ARIA MITENI 2017 >>
https://www.arpa.veneto.it/arpav/pagine-generiche/allegati-pagine-generiche/PFAS_Studio%20matrice%20aria.pdf
[*Le conclusioni sono in picogrammi al posto dei nanogrammi rilevati nel ricettore di immissione. Il confronto con i dati della DuPont di Parkersburg, ai tempi del PFOA!, e di altre zone in giro per il mondo – con scale, ordini di grandezza, differenti – appare intenzionale e tendenzioso, contestualizzato inoltre in un’indefinita area urbana generica. Tutte le aree urbane hanno valori minori di Trissino, se si considera il valore del ricettore, considerata la sottolineatura sui campioni d’aria del perimetro della DuPont su sostanze “datate” e prodotte su scale diverse, in anni diversi, prima del bando delle stesse sostanze e della relativa condanna dell’azienda americana per disastro ambientale. Appare palese la volontà di indurre ad interpretare la realtà con parametri non corretti, distorti ed equivocabili. Nel secondo documento sotto, infatti, si trova la controprova: a fabbrica chiusa e parametri rientrati, il documento viene concluso riportando i dati della DuPont in nanogrammi, rassicurando il lettore. Se tutto ciò fosse vero, come purtroppo pensiamo che sia – le unità di misura sono matematica pura – è gravissimo].

DOCUMENTO ARPAV MATRICE ARIA MITENI 2019 >>
https://www.arpa.veneto.it/arpav/pagine-generiche/allegati-pagine-generiche/Monitoraggio%20aria%20PFAS%202019.pdf
[conclusioni a fabbrica chiusa]

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