24 febbraio 2022 | IL CAOS TAV NELLA TERRA DEI PFAS. IL PUNTO SUL TAV E ALTRI RIMOSSI. UNA PATOLOGIA SOCIALE COLLETTIVA

di Leonardo Barban e Cristina Pozzan

Dopo aver pubblicato gli articoli scientifici degli scienziati IRSA-CNR e ISDE abbiamo chiesto a due giovani attivisti del territorio di Montecchio Maggiore, epicentro di molti conflitti ambientali, primo paese di confine a valle della Miteni di Trissino, il punto sul Tav e altre rimozioni. Ne è uscito un testo di grande valore documentale e generazionale.

Nei luoghi dove ogni grande opera ha il sapore amaro del profitto per pochi, comprese quelle che sono i legittimi servizi di cura, come il nuovo Ospedale di Montecchio, quasi fosse lo stesso nosocomio “un’ombra alta e inconscia” sulla bellezza dei Castelli retrostanti gettata sui territori dove insistono tumori e persiste la più grande contaminazione delle acque potabili del mondo occidentale, meglio, una “popolare” istituzione di una simbolica “Cattedrale del Male” costruita per curare i mali dell’industrializzazione selvaggia, facendo pure profitto su queste cure; nelle stesse terre dove non sono ancora stati affrontati e risolti le urgenti questioni “rimosse” dalla Regione Veneto sui fanghi di conceria e l’incenerimento dei carboni attivi a Fusina e Legnago, contenenti PFAS; in questi luoghi e di questi tempi di caos imperante e di guerre tardoimperialiste – oggi la Russia attacca l’Ucraina difesa dai soldati americani di Vicenza, scambiati per militanti di un’anacronistica NATO – leggere il testo elaborato da questi nostri giovani infonde speranza.

Il documento/articolo che leggerete è un vero e proprio frutto dell’attivismo più coraggioso e scientifico contro il “silenzio liquido” della civiltà occidentale e delle sue derive iperpoduttiviste. Un’analisi di un meccanismo psicologico individuale – la “rimozione” – che nel Veneto supercementificato sembra essersi trasformato in una patologia sociale, collettiva. In una sindrome popolare. Che porterà, ribaltata, verso una “società della cura”, medicale, totale e negativa. Non si può infatti vivere di sola cura, ma anche di gioia.

In cosa consiste la nostra dose di rimozione quotidiana? Nel rimuovere tutto ciò di cui è scomodo parlare, ma non da incassare. Pecunia olet, anche sul cemento più refrattario, accellerato. Intenzionalmente. Come quello dei cantieri senza senso. Preludio alle nostre rimozioni.

Buona lettura.
Comitato di Redazione PFAS.land

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LA TERRA DEI RIMOSSI

di Leonardo Barban e Cristina Pozzan

INTRODUZIONE
Il passaggio del TAV nel mezzo della contaminazione da PFAS

Una lunga catena di rimossi aleggia nella sconfinata pianura veneta. Per comprenderli, servirebbe un excursus storico su come il Veneto abbia mano a mano (s)venduto la propria terra per ricavarne profitto in termini monetari, miseria sotto tanti altri punti di vista (ambientale, sociale, relazionale, paesaggistico per citarne alcuni). In queste pagine, ci soffermeremo nello specifico su ciò che accade o non accade nel territorio che ci è più prossimo. 

Montecchio Maggiore rappresenta il punto nevralgico, luogo esemplare poiché è qui che si snoda il concatenarsi dei rimossi che ora andremo a trattare. Questa precisa angolazione è crocevia di una fitta rete di nodi fatti di grandi opere viabilistiche, progetti architettonici e infrastrutturali, in sostanza immense “cattedrali nel deserto” che poco o nulla hanno a che fare con il benessere, i bisogni e la qualità di vita di coloro che risiedono in questa fetta di provincia.

La politica urbanistica che ha contraddistinto gli ultimi decenni ha preferito gettare colate di cemento, sottraendo suolo alla campagna, piuttosto che investire sulla tutela del territorio e di conseguenza sulla salute delle persone che vi abitano. Ricordiamo che il suolo di cui ci stiamo privando non verrà mai più restituito.

Il progetto dell’Alta Velocità ferroviaria Brescia-Padova rappresenta soltanto l’ultimo granello di un marchingegno già ben avviato. Prima ancora è stato il turno della Superstrada Pedemontana Veneta, fiore all’occhiello del modello Veneto produttivo e costruttivo, di cui il governatore Zaia è massima espressione.

A ciò si aggiungono gli innumerevoli progetti complementari che fanno da sfondo al complesso di grandi opere in fase di realizzazione e progettazione: vedasi il nuovo casello autostradale alle porte di Montecchio, piuttosto che i numerosi interventi compensatori ideati per rendere possibile l’Alta Velocità. Vale citare pure il grande nuovo enorme Ospedale di Montecchio Maggiore, che va ad incidere (direi sfregiare) fortemente il paesaggio cittadino.

Proprio in questo contesto, si è sviluppato il più vasto inquinamento della risorsa idrica potabile, a livello del mondo occidentale, degli ultimi decenni: la contaminazione da PFAS. L’industrializzazione selvaggia, presente nella vallata del Chiampo e dell’Agno dal secolo scorso, ha dato vita al cosiddetto distretto della concia, a quello tessile, manifatturiero, metalmeccanico, chimico e via discorrendo.  Dopo anni e anni di sversamenti scellerati, l’alta specializzazione dei distretti industriali ha prodotto gli esiti più nefasti.

La ricchezza, sulla quale si era eretto l’orgoglio di un’intera comunità, ha perso ogni valore, dal momento che la falda acquifera è inquinata da sostanze tossiche altamente persistenti. Il dato più sconcertante, portato agli onori della cronaca soltanto nel settembre dello scorso anno, sta nel fatto che lo sversamento di reflui industriali nella falda acquifera ha trascinato nel baratro della contaminazione anche l’agricoltura e l’allevamento locale.

Introdurre tali questioni serve a porre dei problemi. Problemi che soltanto chi ha una certa coscienza ambientalista sembra osservare. Al contrario, gli amministratori, da sempre al servizio delle grandi industrie del distretto, procedono indisturbati, approvando di volta in volta progetti faraonici le cui ricadute andranno  a pesare sul futuro di un territorio già pesantemente compromesso. 

Giunti a tal punto, c’è da chiedersi: come è possibile giustificare questo modo di procedere? Da qui l’entrata in scena della rimozione, inteso come meccanismo intenzionale che spinge a non curarsi degli effetti collaterali derivanti da un agire irresponsabile.

In senso stretto, il processo di rimozione prevede che un soggetto renda inconsci quegli elementi, quei ricordi che provocherebbero altrimenti turbamento o senso di colpa. La logica del rimuovere diviene quindi funzionale a difendersi contro l’emergere di quel senso di realtà, che ora come non mai è sotto gli occhi di tutta la collettività.

Rimuovere significa fare come se non fosse successo niente in precedenza, altrimenti il prezzo da pagare, in termini etici e politici, sarebbe troppo alto.
Rimuovere significa continuare a costruire, progettare, edificare, inquinare, produrre, dimenticandosi strategicamente che procedere lungo questa via sta conducendo a un punto di non ritorno; scordandosi che proseguire in questa direzione non è più concepibile per l’ecosistema terrestre.

Rimuovere vuol dire ancora continuare ad accettare l’inaccettabile, ostinarsi a sostenere ciò che è insostenibile.
Rimuovere non risulta utile a costruire il futuro, un futuro degno di essere chiamato tale. 

L’agire contemporaneo ha incentrato il proprio focus sul tempo presente, sul qui e ora (life is now), sul vivere l’attimo senza farsi carico delle conseguenze avvenire.
Questa mentalità ha portato a fregarcene dei nostri figli e del pianeta in cui essi (sopra)vivranno. Questa forma mentis, improntata sull’immediato presente, ha condotto l’uomo a perseguire esclusivamente obiettivi individualistici.

Cosa fare a questo punto?
Tirare il freno a mano e tentare una brusca inversione di senso?
Scalare marcia e gradualmente posizionarsi nella corsia di decelerazione?
Allo stato attuale, non appare realistica nessuna delle opzioni. Chiudiamo con alcuni interrogativi, ci lasciamo con delle domande rimaste insolute.

L’intento di questo approfondimento è dare delle informazioni di carattere tecnico, offrire degli spunti di riflessione critica, sollevare dei dubbi, porre degli interrogativi, mettere in luce delle argomentazioni/documentazioni alternative a quelle comunemente divulgate.

Seguire le orme dei rimossi serve a tracciare un sentiero, consente di farsi spazio tra le fitte  trame che attraversiamo nella nostra quotidianità. Consapevoli che rimuovere non significa cancellare, consapevoli che ogni scomodo dato di fatto volutamente sommerso od oscurato, ha tutti i requisiti per esser riportato a galla.

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Rimosso n.1
TAV  – quale impatto sul territorio?

Rappresentazione del tracciato del TAV VR – PD
[https://veronapadova.it/il-progetto/]

La Tratta TAV Verona-Padova misura 76,5km e costa circa 5 miliardi.

È suddivisa in 3 lotti: 

  • Verona-Bivio Vicenza (Altavilla Vicentina), costo 2,7miliardi per 44km circa;
  • Attraversamento di Vicenza, costo 1,08 miliardi per 6km circa; 
  • Vicenza-Padova, costo 1,3 miliardi per 25km circa.

Solo sul primo lotto da Verona ad Altavilla Vicentina si stanno aprendo i cantieri. Per gli altri due lotti, i progetti sono ancora ad una fase preliminare.

Il lotto del TAV Verona-Bivio Vicenza si sviluppa prevalentemente in affiancamento alla linea ferroviaria esistente (linea storica), interferendo talvolta con il tracciato di quest’ultima che quindi verrebbe modificato in più punti. 
In provincia di Verona, il tracciato del TAV prevede un’ampia deviazione dalla linea storica, dell’estensione complessiva di 16,75 km, portandosi grossomodo in affiancamento alla SP38 detta “Strada Porcilana”, in modo da bypassare a sud la città di San Bonifacio. 
Nel corso dei lavori di realizzazione del TAV, si prevede la riedificazione delle stazioni di Lonigo e Montebello, che sono in parte interferite dal tracciato della nuova linea ferroviaria. A Montecchio Maggiore, invece, sarebbe prevista la costruzione di una nuova fermata per il traffico regionale (vedasi nello specifico più avanti). 
Infine, dopo aver passato la stazione di Altavilla-Tavernelle il primo lotto termina nel nulla a circa 5 km dalla stazione di Vicenza. 

Diverse sono le opere d’arte previste lungo il tracciato, come ponti, viadotti, ecc. alcuni di importanti dimensioni: 

Estensione: 44,225 km 
Comuni interessati: Verona, San Martino Buonalbergo, Zevio, Caldiero, Belfiore, San Bonifacio, Lonigo, Montebello Vicentino, Brendola, Montecchio Maggiore, Altavilla Vicentina 
Tratto linea in rilevato: 33.311,30 m 
Tratto linea in viadotto: 7.225,00 m 
Tratto linea in trincea: 2.141,61 m 
Tratto linea in galleria: 2.534,34 m 
Le principali interferenze 

Il TAV interferisce pesantemente con la viabilità esistente, da quella urbana ed extraurbana a quella autostradale.
Da segnalare le interferenze con l’autostrada A4 all’altezza dell’attuale casello di Verona est e del nuovo svincolo di Montecchio Maggiore. Altre significative interferenze con la viabilità extraurbana ed urbana si registrano con la SP38 “Strada della Porcilana”, intercettata per ben quattro volte; con la SP34 “Strada del Melaro”, all’altezza di Montecchio Maggiore, rendendo necessaria la realizzazione di una variante della lunghezza di 550 m.

Oltre che strade ed autostrade la nuova linea ferroviaria intercetta, lungo il suo tragitto, una quantità di servizi e sotto-servizi quali elettrodotti, gasdotti, acquedotti, linee telefoniche, ecc. che devono, quindi, essere modificati e deviati per consentire il passaggio dell’opera. 
600 sono le interferenze con i sotto-servizi che si contano solamente nell’ultimo tratto del primo lotto, tra Montebello ed Altavilla Vicentina. 

I Cantieri

Per costruire il TAV Verona-Bivio Vicenza verranno realizzati 18 cantieri che occuperanno circa 940mila mq di campagna per una durata di almeno 5 anni. 

Nel periodo di picco dei lavori si stima un traffico da e per cantiere di 218 viaggi/ora per l’approvvigionamento materiali o il conferimento dei materiali di risulta alle cave. Traffico che insisterà su tutti i tipi di viabilità, da quella autostradale a quella locale, incidendo sul traffico e contribuendo all’ulteriore innalzamento dei livelli di CO2 oltre che all’usura e al deterioramento delle infrastrutture viarie (si parla di traffico pesante).

Dagli studi sull’impatto acustico ante-operam si sono individuati 3.099 ricettori, cioè edifici esposti a livelli di rumore superiori ai limiti di legge, in una fascia di 500 m dal futuro tracciato del TAV. 
Ricettori per la stragrande maggioranza concentrati nei comuni di Verona, San Bonifacio, Montebello Vicentino, Montecchio Maggiore e Altavilla Vicentina, per i quali sarà necessario predisporre delle mitigazioni per limitarne i disagi soprattutto in corso d’opera.

Da questa sintetica esposizione risulta evidente quanto complesso ed impattante sia l’inserimento di un’opera come il TAV nel territorio delle provincie venete di Verona e Vicenza. Un contesto  caratterizzato da un’urbanizzazione diffusa, attraversato da un fitto reticolo di strade e di fiumi, oltre che da infrastrutture come l’autostrada A4 e interessato da fenomeni importanti di contaminazione delle falde acquifere. 

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Rimosso n.2
TAV – caos a Montecchio Maggiore

A Montecchio Maggiore sono diversi gli interventi legati al TAV che si andranno a realizzare, a partire dall’aprile del 2022.


Stralcio planimetrico degli interventi ferroviari e viabilistici in zona di Montecchio Maggiore legati alla realizzazione del TAV, del nuovo casello A4 collegamento SPV e dell’area CIS (Montebello)
[Progetto Definitivo: Infrastruttura_planimetria e profilo_IN0D02DI2L5IF0001023B]

  • Cavalca-ferrovia di Via Battaglia

All’altezza del cavalca-ferrovia di via Battaglia ad Alte Ceccato, verrà realizzata la seconda variante della linea storica, che dovrà essere spostata leggermente più a nord per lasciare spazio al passaggio del doppio binario del TAV,  all’altezza della spalla sud del cavalca-ferrovia. Da cronoprogramma lo smantellamento e ricostruzione del cavalca-ferrovia dovrebbe incominciare ad aprile 2022 per essere ultimata nel gennaio 2023, stimando circa 270 giorni di lavoro.
Si tenga presente che i lavori di smantellamento e ricostruzione del cavalca-ferrovia di via Battaglia si svolgeranno in pieno centro abitato, operando anche in orario notturno per garantire l’esercizio dell’attuale linea ferroviaria. Va aggiunto che, tra aprile e maggio 2021, il cavalca-ferrovia di Alte è stato oggetto di interventi di manutenzione costati 70mila €, in carico alle casse del comune di Montecchio Maggiore.
Per sopperire alla chiusura di via Battaglia, il traffico da Brendola a Vicenza sarà deviato su via Sostene e si posticiperà la chiusura del sottopassaggio di via Cimarosa ad Alte, che avverrà soltanto dopo la riapertura di via Battaglia.

  • Nuova stazione di Montecchio Maggiore

La nuova fermata ferroviaria di Montecchio Maggiore è stata richiesta dal comune come compensazione ai lavori del TAV.
Durante i lavori della linea ad Alta Velocità, IRICAV DUE realizzerà i binari scambiatori sulla linea storica e la viabilità di accesso alla futura fermata.
Tuttavia, a quanto si è appreso, le banchine e gli edifici della nuova stazione di Montecchio Maggiore dovrebbero essere realizzati nell’ambito dei lavori di un altro progetto: il Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale (SFMR), già cestinato dalla giunta Zaia e costato 27 milioni alle casse della Regione Veneto per chiudere il contenzioso con la società incaricata della sua realizzazione [1].

  • Nuovo bacino di laminazione di Alte Ceccato

Nell’ambito delle opere di compensazione ai lavori del TAV, si prevede la realizzazione di un nuovo bacino di laminazione tra la ferrovia attuale, la nuova bretella e l’attuale casello A4 di Alte Ceccato. Nel bacino, si faranno confluire le acque degli scoli locali in occasione di eventi atmosferici eccezionali, per evitare allagamenti a fronte della forte cementificazione dell’area stante la costruzione del nuovo casello A4, della Pedemontana Veneta ed ora del TAV. Va sottolineato il fatto che il nuovo bacino di laminazione si trova a neanche 1km dalla FIS (Fabbrica Italiana Sintetici), sorvegliata speciale in seguito ad episodi di sversamento di sostanze chimiche nelle falde acquifere.

  • Cavalca-ferrovia della Colombaretta (ex Faeda – nuovo Tosano)

Si prevede la realizzazione di un nuovo cavalca-ferrovia all’altezza dell’ex Faeda per connettere la SP34 del Melaro con la SR11. Nell’ambito dei lavori del TAV, il consorzio IRICAV DUE è incaricato di realizzare unicamente l’opera di scavalco ferroviario, cioè il ponte sulla ferrovia, (apertura cantiere ottobre 2022 – fine cantiere agosto 2023); mentre le rampe di adduzione al ponte e di collegamento alla viabilità esistente sono a carico degli enti locali (provincia di Vicenza e comune di Montecchio Maggiore).

  • Prolungamento del sottopasso di Via Cimarosa e cambio della destinazione d’uso a ciclo-pedonale

Non c’è molto da aggiungere, se non il disagio per gli abitanti di Montecchio che si vedranno chiuso l’unico varco pedonale tra le Alte e Brendola fuori dal grande flusso di Via Battaglia, intransitabile per pedoni e biciclette. Pedoni e biciclette che dovranno sottoporsi a rischi ancora maggiori nei mesi di chiusura dell’attuale sottopasso usato, per l’appunto, non solo dalle automobili.

  • Cantiere operativo Montecchio Maggiore

Per concludere, in territorio montecchiano verrà realizzato un cantiere operativo lungo la SP34 del Melaro, dell’estensione di circa 38mila metri quadrati e della durata di circa 5 anni e mezzo. Il nuovo cantiere servirà per lo stoccaggio di materiali e mezzi d’opera e verrà realizzato tra la rotatoria di sbocco del sottopasso di via Cimarosa ed il cavalcavia autostradale di Via Sostene. Ricordiamo che Via Sostene è stata indicata dal consorzio IRICAV DUE come viabilità alternativa per il traffico diretto Lonigo – Vicenza, a fronte della prossima chiusura di Via Battaglia. Scelta obbligata quanto infelice visto il prevedibile traffico da cantiere che insisterà in quella zona.

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Rimosso n.3
PFAS – la goccia che ha fatto traboccare il vaso

Rappresentazione del tracciato del lotto TAV Verona – Bivio Vicenza all’interno della mappa della contaminazione da Pfas in Veneto

Il passaggio dell’Alta Velocità nel territorio veneto si interseca con l’inquinamento da PFAS. Molti dei comuni attraversati dal TAV sono allo stesso tempo contaminati dalle sostanze perfluoroalchiliche, prodotte dalla Miteni di Trissino fino al 2018 (anno della sua chiusura) e tuttora contaminanti, non essendo stata fatta ancora la bonifica del sito dell’azienda e volendoci decenni per il loro “smaltimento naturale” in falda. Si parla di un secolo.

In particolare Brendola e Lonigo sono aree rosse, ovvero paesi dove si registrano le maggiori concentrazioni di PFAS, mentre i comuni di Altavilla Vicentina, Creazzo, Montebello, Montecchio Maggiore, San Bonifacio, Sovizzo e Vicenza ricadono in tutto o in parte nell’area arancione della contaminazione. In questo contesto, a cavallo tra le province di Verona e Vicenza, le falde acquifere sono divise da limi e sedimenti impermeabili che le mantengono separate
Per questa ragione, coi lavori del TAV, si corre il rischio di rimescolamento delle falde. Infatti, le opere di fondazione dei viadotti e rilevati ferroviari saranno costituite da palificazioni in calcestruzzo conficcate fino a 50m di profondità nel terreno. Questo fatto potrebbe contribuire a propagare la contaminazione di fluoro-composti in falde ancora “pulite”. 

Non solo la palificazione. Anche i cantieri del TAV costituiscono un fattore di rischio in questo senso. Infatti, necessitano di enormi quantitativi d’acqua per l’abbattimento delle polveri generate dalle lavorazioni, per il dilavamento dei mezzi, ecc. Queste operazioni potrebbero contribuire a propagare l’inquinamento  se come previsto, si andasse a captare l’acqua anche da pozzi locali, senza prestare attenzione al fatto che possano essere contaminati.

Infine, nei pressi di Contrà Muzzi a Montebello, i cantieri dell’opera andrebbero ad interferire per 987 m con il collettore Arica, che dovrebbe essere spostato. Il collettore Arica è stato riconosciuto come un vettore importante della contaminazione da PFAS. Il cosiddetto tubone raccoglie le acque dei 5 impianti di depurazione dell’ovest vicentino che smaltiscono i fanghi del distretto conciario e le convoglia nel Rio Acquetta, all’altezza di Cologna Veneta. 
Sempre in Contrà Muzzi, la falda acquifera tende ad affiorare in superficie e sarà inevitabile che i lavori di deviazione del tubone e di edificazione dei rilevati ferroviari la intercettino. Sarebbe necessario verificare il livello di contaminazione delle acque della zona, ma allo stato attuale delle conoscenze non si hanno dati specifici in materia.

Infatti, un’analisi dettagliata dell’impatto dei lavori del TAV sulla contaminazione da PFAS, non c’è. Nel corso corso delle indagini e delle rilevazioni per sviluppare i progetti del primo lotto da Verona fino alle porte di Vicenza non è stata tenuta in considerazione questa problematica. All’epoca, infatti, il caso PFAS era appena venuto a galla ed è stato sottovalutato dai progettisti del Consorzio IRICAV DUE. Diversamente oggi si conosce l’entità della contaminazione ed è cambiata la sensibilità rispetto a questo problema. Non a caso, al punto 2.2 della delibera del CIPE del 26 novembre 2020, con la quale viene approvato il progetto preliminare del secondo lotto – Attraversamento di Vicenza – si richiede esplicitamente al consorzio di trasmettere un’accurata informativa ai ministeri competenti, in cui si attesta di aver tenuto in debito conto l’impatto potenziale dell’opera sulle falde inquinate da PFAS. 

La questione è ancora aperta. Una polemica, apparsa sulle cronache locali il 9 febbraio, riporta che il consorzio IRICAV DUE sia in ritardo di oltre 7 mesi nella consegna dei monitoraggi sui PFAS, relativamente alla falda di San Bonifacio. Notizia poco rassicurante dal momento che siamo  alla vigilia dell’apertura dei cantieri lungo il tratto Verona-bivio Vicenza.
Le amare conclusioni che si possono trarre, allo stato stato attuale, portano ad affermare che i cantieri apriranno, nonostante manchino analisi certe sulla contaminazione e sul suo interferire con la costruzione del TAV.

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Rimosso n.4
FIS – il vaso di pandora non ancora scoperchiato

Una delle foto simbolo di PFAS.land [clicca sopra per ingrandirla]. Mentre brucia la fabbrica ISELLO VERNICI, ai confini tra Brendola e Montecchio, si notano in primo piano, al centro, i grandi “compressi” impianti della FIS: l’azienda è oramai circondata dall’abitato, a poche decine/centinaia di metri da esercizi commerciali pubblici e dai quartieri di Alte e da quelli di Via Calesella-Piazza Carli-Piazza Fraccon.
[ Foto Archivio PFAS.land 1 luglio 2019 ]

Due acidi nocivi contenenti atomi di fluoro sono emersi di recente durante le analisi condotte da Arpav nel territorio di Montecchio Maggiore [2]. Nello specifico, si tratta di acido trifluoroacetico (TFA) e acido trifluorofenilacetico (TFFA).

Conoscere l’origine dello sversamento è stato possibile, seguendo a ritroso la strada percorsa dalle sostanze tossiche rinvenute. Si tratta di reflui industriali provenienti dallo stabilimento F.I.S., gruppo farmaceutico con sede a Montecchio, in Viale Milano. Infatti, i rilevamenti di ARPAV hanno dimostrato che i due acidi in questione sono presenti negli scarichi degli impianti aziendali, ma anche nelle acque sotterranee adiacenti alla F.I.S..

Il TFA e il TFFA sono acidi riscontrabili nell’ambiente come risultato dell’attività umana, sono infatti adoperati nei processi di lavorazione in uso alla F.I.S.. Tuttavia, il TFA potrebbe trovarsi in qualunque altro posto, poiché è una sostanza legata alla degradazione di erbicidi, farmaci e altri elementi.
La situazione sopra descritta ricalca più o meno la vicenda dei PFAS, sversati dalla Miteni di Trissino e causa di una delle più grandi contaminazioni ambientali di falde acquifere nella storia dell’Occidente industriale. Non a caso il TFA e il TFFA non rientrano nella categoria di sostanze sottoposte a limiti normativi, ciò significa che non esiste alcuna legge che stabilisca la quantità della loro presenza nell’ambiente.

È attorno a questi temi che si è discusso durante la Commissione Bicamerale Eco-mafie svoltasi nel maggio 2021. Ad oggi, è noto che ARPAV ha attivato un monitoraggio a tappeto volto a ricercare in via preventiva queste sostanze in tutto il Veneto. 

Tuttavia, c’è gran poco da stare tranquilli. La F.I.S. vanta una produzione distribuita in 3 location, dove sono impiegati più di 1800 dipendenti: lo stabilimento principale di Montecchio, quello di Lonigo e infine un altro situato a Termoli, lungo la costiera adriatica molisana. Tutti gli impianti sono sottoposti a normativa Seveso, per l’elevato pericolo in caso di emergenze. Gli amministratori del territorio sembrano essere incuranti dei rischi connessi al suo operato: la produzione della F.I.S. incalza a pieno regime, tanto che il piano produttivo da qui al 2026 prevede una crescita del + 8% a livello mondiale. 

A destare ulteriori interrogativi è la sede di Lonigo, collocata nel bel mezzo della zona rossa dei PFAS. Questo sito produttivo è interessato anche dall’attraversamento del TAV,  poiché il progetto definitivo prevede che il treno sfiori a distanze molto ravvicinate lo stabilimento leoniceo. Il nodo non è sciolto ancora del tutto dal momento che a ridosso dello stabilimento F.I.S. di Lonigo è previsto l’insediamento di un campo base per 400 operai impiegati nei cantieri del TAV.

Recentemente la Redazione di PFAS.land ha prodotto alcune brevi note di interrogazione al Comune interessato, dopo aver sentito gli scienziati dell’IRSA-CNR, i quali hanno specificato che il TFA rientra nella categoria dei PFAS, mentre il TFFA (quello che maggiormente coinvolge la F.IS.), meno pericoloso, non propriamente, pur avendo composizione chimica affine. Un fatto è certo, concludono gli scienziati IRSA-CNR: sono “entrambe” sostanze che non devono essere sversate in ambiente e un chiarimento sugli ultimi fatti è oggi più che mai necessario. Soprattutto alla luce della vicenda PFAS-Miteni.

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Rimosso n.5
TAV e disastro idrogeologico – dove ci ha condotto il mito del progresso

Stralcio planimetrico da “Progetto Definitivo: carta sintesi impatti – componente: suolo e sottosuolo_IN0D01DI2N2IM0000006D_00A”

Un territorio fragile dal punto di vista idrogeologico! E’ questo il dato che restituiscono gli eventi climatici registrati negli anni appena trascorsi. Nubifragi, frane, smottamenti si ripetono in tutto il Veneto ad ogni cambio stagione, molto di più del classico «il vento soffia più forte o la pioggia batte con maggior vigore».  

In un simile contesto, va ad inserirsi il TAV Brescia-Padova. Secondo il progetto, la nuova linea ferroviaria ad Alta Velocità  taglierà come una cesoia le province di Verona e di Vicenza. Solo tra Verona e Altavilla, la linea ad Alta Velocità intercetterà 7 corsi d’acqua principali (i torrenti Valpantena, Fibbio, Illasi, Prognolo, Alpone, Rio Acquetta ed Agno-Guà) e 78 corsi d’acqua secondari, rogge, scoli e fossati (40 di questi saranno tombinati, 11 tombinati in pressione mediante “sifoni” e 17 deviati). Sono 4 le aree esondabili a rischio medio ed elevato intercettate nella stessa tratta, mentre il secondo lotto, da Altavilla a Vicenza, ricade per intero in un’area a pericolosità idraulica media. 

L’unica galleria sulla tratta si trova a San Martino Buonalbergo, dove la linea ferroviaria sotto-attraversa in trincea e poi in galleria lo svincolo del casello A4 di Verona est, intercettando in pieno la falda che nell’area è a 6-8 metri di profondità. 
Lo scenario sopra descritto vedrà cantieri che, secondo le stime calcolate, sbancheranno 4,26 milioni di metricubi di materiali (solo sul primo lotto da Verona ad Altavilla).

Per tale ragione, il consorzio IRICAV DUE è stato costretto a prevedere tutta una serie di opere collaterali di rinforzo arginale dei fiumi interferiti e di casse di espansione per le piene degli stessi: una a Zevio, nei pressi di Verona per il fiume Adige; una ad Alte di Montecchio Maggiore e una a Sovizzo sul torrente Onte, per scongiurare il rischio che finisca sotto acqua la zona di Vicenza ovest. 
Tutti interventi in parte già finanziati dalla Regione Veneto, che dopo le disastrose alluvioni del 2010 a Vicenza e del 2013 nel veronese, ha predisposto una serie di lavori per salvaguardare il territorio da simili eventi futuri.  

Ci chiediamo quindi, come inciderà quest’opera dal punto di vista idrogeologico e idraulico sui territori attraversati? 
Che impatto avranno gli innumerevoli cantieri predisposti dal progetto definitivo?
Quali ripercussioni si avranno nel caso di eventi atmosferici catastrofici, visti i disastri degli ultimi anni? 
Tutto ciò è davvero necessario per progredire verso un orizzonte rispettoso sul piano ambientale?

Se questa è l’idea di progresso che si intende perseguire, appare sempre più chiaro che ci troviamo lontani anni luce da quell’equilibrio ormai utopico tra uomo e natura.

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Rimosso n.6
TAV e Pedemontana – connessioni geo-strategiche?

Il TAV e la Superstrada Pedemontana Veneta si incrociano a Montecchio Maggiore, all’altezza del nuovo casello dell’autostrada A4 in corso di realizzazione. 
Qui, infatti, la SPV si connette all’autostrada Milano-Venezia, passando sopra all’omonima linea ferroviaria e al futuro tracciato della TAV Verona – Bivio Vicenza; ma le connessioni tra le due opere non si fermano qui.

SPV e TAV, la partita degli appalti

Come recentemente evidenziato dai comitati che si battono sul fronte SPV [3], nei cantieri del futuro casello opera la “Montecchio SCARL” una società consortile a responsabilità limitata appositamente creata  dalla vicentina “ICM spa” (ex Maltauro) e dalla trevigiana “Carron Cav. Angelo spa”.

Posizionarsi nei cantieri del nuovo casello di Montecchio Maggiore, dove si intersecano le tre grandi infrastrutture TAV, Pedemontana e A4, permetterebbe alle due S.p.a. di “mettere un piede nella porta” nella futura partita del TAV.

Infatti sia la ICM spa, sia la Carron spa si sono già accreditate presso il consorzio IRICAV DUE per l’affidamento dei sub-appalti del TAV [4], qualificandosi entrambe per i futuri cantieri a Montecchio Maggiore.

Stralcio dell’elenco degli operatori economici qualificati per le varie categorie merceologiche del sistema di qualificazione per l’assegnazione degli appalti
[https://veronapadova.it/gare-area-trasparenza/operatori-economici-qualificati]

Sul lotto Verona – Bivio Vicenza, i bandi di gara che IRICAV DUE deve assegnare sono in tutto 9:

Verona est, Fibbio, Belfiore, Alpone, Lonigo, Montebello, Montecchio, Armamento AV, Barriere Antirumore [5].

Rappresentazione schematica dei bandi di gara dei subappalti del TAV Verona – Bivio Vicenza
[https://veronapadova.it/gare-area-trasparenza/i-bandi-di-gara/]

Per il momento l’unica gara chiusa riguarda la commessa 5 – Montebello che comprende i cantieri tra Montebello e Montecchio Maggiore, per un valore complessivo stimato di 237 milioni di euro. La commessa è stata vinta dalla seguente cordata di aziende con un ribasso pari al 2.525 %, corrispondente ad un importo di € 194.816.420,55:

  • SALCEF S.p.A. – P.IVA n. 12612601000 con sede in via di Pietralata, 140 – 00158 Roma. (Mandataria) 
  • PALINGEO srl – P.IVA n. 02075900981 – via Meucci, 26 – 25013 Carpendolo (BS) (Mandante) 
  • S.C.L. costruzioni e montaggi srl – P.IVA n. 00423360932 – via Mergellina, 35/D – 80100 Napoli (NA) (Mandante) 
Il TAV, la mangiatoia delle lobby del cemento

In pochi sanno che il 30 Aprile 2004 la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia contestando il fatto che le commesse per la realizzazione della rete ferroviaria ad Alta Velocità fossero state affidate in concessione nei primi anni 90 ai mega-consorzi del cemento senza bandire nessuna gara d’appalto come stabilito dalla normativa comunitaria.

Il contenzioso fu risolto mantenendo valide le concessioni miliardarie ai vari consorzi che si erano spartiti l’affare dell’Alta Velocità Ferroviaria ma stabilendo, tra le altre cose, che il 60% dei lavori per la realizzazione dell’asse Torino – Milano – Venezia dovessero essere messi a gara secondo le norme europee. 
Inutile dire che è il consorzio concessionario (nella tratta TAV Verona – Padova è IRICAV DUE) a gestire per conto dello Stato, le gare per affidare in sub-appalto i lavori dell’Alta Velocità. 

Così facendo si lascia ai consorzi del TAV un certo margine di manovra che può facilitare l’assegnazione pilotata degli appalti piuttosto che l’infiltrazione di aziende legate alla criminalità organizzata.
Casi simili si sono già verificati per esempio nei cantieri del TAV Terzo Valico dei Giovi, tra Liguria e Piemonte, dove nel 2016 l’inchiesta “Amalgama” ha portato all’arresto o all’imputazione dei vertici del consorzio COCIV.

Anche nel TAV Veneto si è già registrata l’infiltrazione di un’azienda colpita da interdittiva antimafia nel 2016: la LANDE spa, che ha curato lo “studio di impatto ambientale” della tratta del TAV Verona – Bivio Vicenza. 

SPV, TAV e la contaminazione da PFAS

Un altro tratto in comune tra le due grandi opere è sicuramente la questione dei PFAS. Come detto sopra, mentre il TAV attraversa la zona più contaminata dagli sversamenti della Miteni, la SPV e il nuovo casello di Montecchio Maggiore intercettano la falda acquifera proveniente dalla Valle dell’Agno, tramite la quale i veleni di Miteni si sono propagati nel resto della pianura Veneta. Dal nuovo casello di Montecchio, realizzato nella zona della risorgiva di Brendola, la SPV procede verso nord in trincea, sotto il piano campagna, interferendo sul naturale deflusso della falda acquifera inquinata.

A più riprese i comitati hanno denunciato questa grave interferenza nel tratto dell’opera tra Trissino e Montecchio [6], ma sono recentemente emerse alte concentrazioni di Pfas anche nei pressi dei cantieri della galleria tra Malo e Castelgomberto, nella zona di Cornedo Vicentino, a nord dello stabilimento di Miteni spa [7]. 

Questo fatto, unito alla rilevazione di diversi scarichi abusivi provenienti dai cantieri della Pedemontana Veneta, ha  evidenziato il largo utilizzo di Pfas negli accelleranti del cemento a presa-rapida che spesso si utilizzano per fondazioni e consolidamenti in jet-grouting (iniezione nel terreno di una miscela cementizia ad alta pressione – fino a 600 atmosfere –  al fine di consolidare i terreni di fondazione o per la formazione di diaframmi), tecnica comunemente utilizzata nei cantieri di grandi opere tra cui il TAV Veneto.

SPV, TAV  e viabilità  futura

Lo scorso 12 novembre 2021 la regione Veneto ha convocato un tavolo tecnico con il commissario straordinario per il TAV Vincenzo Macello ed i sindaci dei comuni di Brendola e Montecchio Maggiore per affrontare il nodo della viabilità nell’ovest vicentino nel corso dei lavori del TAV. Per limitare i disagi alla viabilità territoriale si è convenuto, di concerto col consorzio SIS, di rinviare l’apertura del tratto di Pedemontana Veneta tra Montecchio Maggiore e Cornedo Vicentino, ormai ultimata, al 2023 in modo da non sovraccaricare il traffico nel comune di Montecchio a fronte dei pesanti interventi legati alla realizzazione del TAV.

Stralcio planimetrico da “Progetto Definitivo: opere d’arte: gallerie – farfalla attraversamento SITAVE: planimetria generale_IN0D02DI2P8GA0200001A”

Invece, tra Montebello e Montecchio Maggiore, il progetto del TAV prevede la realizzazione di una galleria cosiddetta “a farfalla” per consentire l’attraversamento del futuro tracciato del Si-Ta-Ve (Sistema Tangenziali Venete [8]) da parte della linea ferroviaria ad alta velocità e della 2^ deviazione della linea storica MI-VE. 

In pratica attraverso il progetto del TAV si prepara il terreno ad una nuova, futura, grande opera stradale che andrà a consumare ulteriore suolo in una porzione di pianura veneta ormai totalmente cementificata. 

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Rimosso n.7
TAV e Confindustria – le mani sulla città

Il progetto dell’Alta Velocità a Vicenza ha una storia travagliata. I primi documenti in cui è menzionato risalgono al 1986, mentre gli appalti per la sua realizzazione furono assegnati ancora nell’ottobre del 1991.

L’iter di progettazione per la tratta TAV vicentina è lunghissimo e viene più volte sospeso o rimaneggiato: 

– 1992-1996: linea TAV in affiancamento ad autostrada A4 tra Verona e Montebello; ingresso del tracciato sotto i colli Berici a Brendola e attraversamento in galleria di Vicenza; affiancamento alla linea storica tra Grisignano e Padova. 

– 2001-2006: linea TAV in affiancamento alla linea ferroviaria esistente e sotto-attraversamento in galleria della città di Vicenza. 

Il nodo di Vicenza è sempre stato difficile da sbrogliare per i progettisti dell’Alta Velocità.

A dare un contributo decisivo allo scioglimento delle riserve dopo il 2006 e riaprire nuovamente la questione TAV è stata la Camera di Commercio vicentina, decisa sostenitrice della necessità di una fermata in zona Fiera. Infatti, dopo aver finanziato nel 2012, uno studio di pre-fattibilità sul passaggio del TAV a Vicenza, nel luglio del 2014 Confcommercio, di concerto con le altre categorie datoriali e l’appoggio di Comune, Provincia di Vicenza e della Regione Veneto, stipulava assieme al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti un protocollo d’intesa. Gli enti firmatari del protocollo si impegnavano a sviluppare un vero e proprio studio di fattibilità sulla scorta dell’ipotesi elaborata nel 2012 dalla Camera di Commercio: il cosiddetto progetto “De Stavola”. 

L’ipotesi progettuale in studio prevedeva l’attraversamento della città di Vicenza in trincea coperta e lo scorporamento della stazione centrale in due stazioni periferiche: Vicenza fiera e Vicenza Borgo Berga, collegate al centro mediante una nuova linea di tram elettrici.
Il 29-30 ottobre 2015 la Camera di Commercio di Vicenza, di concerto con gli altri enti coinvolti, rimetteva mano al protocollo d’intesa del luglio 2014, mediante un addendum (aggiornamento), col quale venivano ridefiniti i piani di realizzazione del TAV, suddividendo l’intera tratta VR-PD in 3 lotti costruttivi: Verona – Bivio Vicenza, Attraversamento di Vicenza, Vicenza – Padova.

L’aggiornamento fu eseguito unicamente allo scopo di incassare i 90 milioni stanziati dallo “sblocca Italia” di Renzi del 2014, presentando il progetto definitivo del primo lotto Verona – Bivio Vicenza (che ricalcava grossomodo il progetto del 2006) entro le tempistiche fissate dal governo.
Scorporando l’opera in 3 lotti è stato possibile accedere ai fondi, di volta in volta sbloccati dai governi di turno per le “opere strategiche  per la coesione e lo sviluppo nazionale”, fino al più recente e cospicuo PNRR col quale si è riusciti a finanziare completamente i lavori del primo lotto del TAV Veneto.

Oggi, infatti, si è conclusa la progettazione esecutiva e si sta procedendo all’apertura dei cantieri unicamente sul lotto Verona – Bivio Vicenza, mentre si è in attesa della pubblicazione del progetto definitivo del secondo lotto relativo all’attraversamento di Vicenza; del terzo Vicenza – Padova, si deve ancora sviluppare il progetto preliminare.
Per le associazioni di categoria datoriali vicentine il progetto del TAV rappresenta una ghiottissima opportunità non solo per gli ingenti flussi finanziari destinati dallo Stato, ma anche per tutto ciò che ne deriva: questi meccanismi si traducono in subappalti o commesse, che fanno tanto comodo ai “padroncini” nostrani.

Allo stesso tempo, il progetto del TAV andrà a ridefinire gli assetti territoriali, infrastrutturali ed urbanistici di Vicenza e provincia.
Infatti con la variante al tracciato del TAV a San Bonifacio si va ad aprire quello che può definirsi un nuovo corridoio infrastrutturale nella campagna veronese, alternativo a quello ormai saturo  della A4 e della linea ferroviaria storica. In questa fascia di territorio, in futuro potranno forse trovare posto nuove infrastrutture o nuove zone di espansione urbanistica?

Inoltre, il secondo lotto relativo all’attraversamento di Vicenza non porta in dote unicamente la fermata ferroviaria in zona Fiera. Questo breve lotto di soli 6 km di nuova ferrovia prevede tutta una serie di interventi di “ricucitura urbana” (km di nuova viabilità), che ridisegneranno gli assetti viabilistici ed urbanistici del capoluogo berico da ovest ad est. Nello specifico si contano i seguenti interventi: il nodo di via dell’Olmo, il nodo degli Scaligeri/viale dell’Oreficeria, il nodo via Arsenale/stazione di Vicenza centrale, il nodo viale Camisano/viale Serenissima/via Martiri delle Foibe,  l’intervento ulteriore relativo ad una nuova linea di trasporto pubblico locale. 

Considerando la quantità di abbattimenti che il secondo e, con ogni probabilità, anche il terzo lotto del Tav Verona – Padova porteranno a Vicenza città, si può ben immaginare quali e quanti spazi si prestino per future lucrose speculazioni edilizie.

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Rimosso n.8
PNRR – una grande opera di greenwashing. Utile per chi?

“Transizione ecologica”, “economia circolare”, “sviluppo sostenibile”, “rivoluzione verde” sono parole che riecheggiano a più riprese tra le pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, approvato dalla Commissione Europea nel giugno del 2021. 

Non a caso, la Missione 3 del documento governativo, volto a ricevere lauti fondi dall’Europa, si intitola proprio “infrastrutture per una mobilità sostenibile”.
La sostenibilità, in questo caso, è riferita agli investimenti sulla rete ferroviaria pari alla cifra di 24,77 miliardi di euro. 
Dentro a questo blocco di finanziamenti si trova anche la nuova Linea Ferroviaria ad Alta Velocità che andrà a collegare le città di Verona, Vicenza e Padova.

Sui costi onerosi del TAV ci siamo soffermati in precedenza. Val quindi la pena di focalizzarsi sul pensiero che ne sta alla radice, sulle logiche che sottendono la realizzazione dell’Alta Velocità ferroviaria, a cominciare dalla rilettura del PNRR.

La Missione 3 [9], precisamente la componente M3C1, si rivolge agli investimenti sulla rete ferroviaria, punta al completamento dei principali assi ferroviari ad Alta Velocità ed Alta Capacità, alla loro integrazione con la rete ferroviaria regionale e alla messa in sicurezza dell’intera rete ferroviaria.
Gli obiettivi che questa missione si propone vanno dal potenziamento del trasporto su ferro di passeggeri e merci, all’aumento della capacità e connettività della ferrovia, fino al miglioramento della qualità del servizio lungo i principali collegamenti nazionali e regionali, compreso anche il rafforzamento dei collegamenti transfrontalieri.

Parole splendide e ben presentate, ma poco coerenti con le cifre riportate tra gli investimenti. Basta commentare qualche banale rapporto. Sommiamo i 4,64 miliardi spesi per “collegamenti ferroviari ad Alta Velocità verso il Sud per passeggeri e merci” agli 8,57 miliardi per le “linee ad Alta Velocità nel Nord che collegano all’Europa”, una volta ottenuto il risultato pari a 13,21 miliardi di euro, lo si può confrontare con gli 0,94 miliardi destinati al potenziamento delle linee regionali.
Una cifra misera che lascia ben intendere, dove si focalizzi l’attenzione dei nostri governanti: ingenti finanziamenti al trasporto ferroviario di lusso, scarsi fondi alle linee locali, regionali etc.

Quanto costa viaggiare sul TAV? Chi se lo potrà permettere?

Viaggiare a bordo di un treno Freccia Rossa, lungo il tragitto Padova-Venezia, può costare dai 17 ai 65 euro (tariffa executive) per un tempo di percorrenza che oscilla tra i 26-28 minuti. Diversamente il medesimo tratto percorso a bordo di un treno regionale costa 4,60 euro per un tempo di percorrenza che varia tra i 27-26 minuti e i 45, a seconda che si prenda il Regionale Veloce oppure Lento (ferma in tutte le stazioni). Inutile dire che uno studente universitario, piuttosto che un lavoratore pendolare, non avranno mai la facoltà di permettersi dei viaggi così tanto onerosi.

Da una lettura del PNRR emerge, inoltre, come esso sia l’ennesima operazione di greenwashing, volta a tinteggiare di verde un’opera che non ha niente a che vedere con la salvaguardia dell’ambiente. Il tentativo di pulirsi la faccia di fronte al dilagare della crisi climatica non può passare attraverso la mera sottoscrizione di accordi europei o piani programmatici destinati alla riduzione del disastro ecologico in atto. Quelle che il PNRR definisce “sfide ambientali” non possono essere combattute a suon di cemento, cantieri, impatto sui territori: è quella la logica che promuove il TAV ed è proprio questo il motivo per cui ne siamo contrari. È puramente contraddittorio affermare che il TAV andrà a ridurre l’emissione di gas climalteranti, convogliando il traffico di passeggeri da strada a rotaia, dal momento che la realizzazione del super treno produrrà emissioni a livelli stratosferici.

In conclusione, alla luce di quanto riassunto sopra, risultano maggiormente chiari gli obiettivi ultimi che il PNRR intende perseguire, ovvero lo scopo finale che dà significato a tale documento. 
Essi si traducono in una considerevole pioggia di fondi pubblici, concessi a enti di ogni ordine e grado, siano esse piccole aziende oppure industrie del settore privato. Ciò determinerà il fatto che, nei prossimi anni, gli investimenti di capitale privato saranno coperti da erogazioni di  denaro pubblico. L’intervento dello Stato avrà, quindi, il ruolo di “salvare” il capitalismo italiano, di fronte alla crisi economica acuita dalla pandemia, rendendo in questo modo certo il profitto di una piccola fetta di padronato

Da questi elementi di carattere generale, affiora palesemente l’utilità del TAV. Essa risulta senz’ombra di dubbio una grossa partita dal punto di vista dei vincitori di appalti, che riusciranno a conquistare quella porzione di torta tanto succulenta alle ditte dell’indotto. Ad avere la peggio sarà, tuttavia, la collettività, fatta di persone che abitano i territori, le quali gradualmente si stanno vedendo erodere i propri spazi vitali. A perdere la partita saranno poi tutta quella fascia di studenti, lavoratori, pendolari in genere, per i quali sarà sempre più difficoltoso spostarsi.

Quello che si profila dinnanzi a noi è un quadro gran poco rassicurante. La strada imboccata si mostra distante dall’idea di progresso sostenibile, compatibile, rivoluzionario verso cui dovremmo tendere indistintamente tutti e tutte. Resta perciò compito di chiunque senta il dovere di cambiare le cose quello di attivarsi e modificarne l’orientamento.

Leonardo Barban, Cristina Pozzan
NO TAV Montecchio Maggiore

alberto_peruffo_CC

Comitato di Redazione
24 FEBBRAIO 2022

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Grandi opere: il cantiere del nuovo Ospedale di Montecchio Maggiore, alto 5 piani, oscura la storica vista della collina dei Castelli per gli abitanti della Valle, durante la visita degli ispettori ONU del 4 dicembre 2021.
[ Foto di Federico Bevilacqua ]

NOTE HYPERLINKS

[1] https://www.venetoeconomia.it/2018/04/sfmr-corte-dei-conti/
[2] https://www.vicenzatoday.it/politica/acidi-ambinete-ovest-vicentino-industria-chimica-farmaceutica-20-maggio-2021.html
[3] https://www.vicenzatoday.it/video/video-ad-alte-ceccato-c_e-un-cantiere-fantomatico.html
[4] https://veronapadova.it/gare-area-trasparenza/operatori-economici-qualificati/
[5] https://veronapadova.it/gare-area-trasparenza/i-bandi-di-gara/
[6] https://wwwcovepa.blogspot.com/2021/06/pfas-dal-cantiere-di-spv-montecchio.html?m=0
[7] https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/07/28/negli-scarichi-della-galleria-di-malo-concentrazione-di-pfas-fino-a-38-volte-oltre-i-limiti-lultimo-guaio-della-pedemontana-veneta-nelle-analisi-dellarpav/6276456/
[8] Sistema delle Tangenziali Venete: https://trail.unioncamereveneto.it/infrastrutture/sistema-delle-tangenziali-venete/
[9] https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf

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FOTO COVER di Federico Bevilacqua, autore del «Progetto C8hf15o2 – FORMULA DI UN DISASTRO INVISIBILE». Proprietà contadina tagliata in due dai segni del cantiere TAV, presso San Bonifacio. La stessa foto è stata utilizata per la serata del 3 marzo 2021, vedi locandina sotto.

[ scarica pdf per la stampa ]

Una risposta a "24 febbraio 2022 | IL CAOS TAV NELLA TERRA DEI PFAS. IL PUNTO SUL TAV E ALTRI RIMOSSI. UNA PATOLOGIA SOCIALE COLLETTIVA"

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