20 settembre 2019 | L’ESCALATION DEI CONFLITTI PER L’ACQUA NEL VICENTINO

di Prof. Dario Zampieri

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L’acqua costituisce la risorsa minerale più importante, senza la quale non sarebbe possibile produrre gli alimenti vegetali, di cui si nutrono non solo l’uomo ma anche gli animali che ci forniscono il latte e le uova (oltre che la carne, un alimento di cui dovremo fare un uso sempre più limitato), né far funzionare le industrie. 

In altri termini, l’acqua è la più preziosa di tutte le cosiddette risorse.

L’acqua pura sta purtroppo diventando un genere di lusso, ma oltre che la qualità anche la quantità sta diventando un problema. Tutto questo non in India, sui cui problemi idrici Vandana Shiva ci ha documentato un’impressionante casistica di calamità prodotte dall’uomo tramite privatizzazione, industria forestale e grandi dighe (Le guerre dell’acqua – Feltrinelli 2003), bensì nel territorio di casa nostra, il Vicentino, famoso per la sua grande disponibilità della risorsa acqua. Dell’acqua portata a valle dai fiumi prealpini come il Chiampo, l’Agno, il Leogra, l’Astico, il Brenta si alimentano le falde di pianura che dissetano quasi un milione di persone e che irrigano una fiorente agricoltura. Lungo questi corsi d’acqua, sfruttandone anche la forza motrice, nacquero i molini, le segherie del legno e del marmo, le cartiere, i canapifici, le industrie laniere, della concia e quelle metallurgiche. Si sviluppò in pratica una fiorente industria, facendo del Vicentino una terra di sviluppo non solo meramente economico, ma anche di modelli avanzati di promozione sociale e culturale delle popolazioni che gravitavano attorno ad alcune delle industrie citate.

Purtroppo, il paradigma della crescita infinita, su cui si basa tuttora l’economia, non può funzionare in un pianeta finito, a dispetto di quello che possono pensare politici, amministratori, imprenditori, sindacalisti. L’acqua è una risorsa rinnovabile in quanto soggetta al cosiddetto ciclo idrologico, fatto di evaporazione, più traspirazione, seguite dalla condensazione e infine dalla precipitazione, che assicura un continuo apporto. Tuttavia, se il tasso di prelievo supera quello di ricostituzione, per esempio delle falde di pianura, anche l’acqua diventa una risorsa non rinnovabile. Lo stesso vale per il suolo, che ha tempi di formazione ben superiori a quelli della sua distruzione, purtroppo così praticata proprio nel Vicentino.

Se a questo aggiungiamo che l’avidità e l’assenza di regole hanno permesso di scaricare sull’ambiente le cosiddette esternalità negative producendo l’inquinamento, appare chiaro che il tanto decantato “modello Nordest” è stato in realtà un caso tra i tanti di predazione delle risorse naturali (incluso il paesaggio), dove probabilmente la indefessa dedizione al lavoro (a scapito della cultura) è stata più intensa che altrove. Dalla prospettiva delle disponibilità delle risorse naturali si è trattato della fiamma di un cerino, alcuni decenni seguenti il secondo conflitto mondiale, un periodo che tra gli studiosi delle risorse energetiche viene chiamato la “grande accelerazione”. Tramite l’uso dell’energia concentrata a basso costo e facilmente manipolabile fornita dal petrolio convenzionale si è avuta l’esplosione di tutte le attività umane, inclusa la “rivoluzione verde” dell’agricoltura, che a sua volta ha permesso l’enorme incremento della popolazione mondiale. Tuttavia, il facile ottenimento di energia dal petrolio si è rivelato un patto faustiano, se il prodotto della combustione (incluso il carbone) ha liberato in atmosfera circa 2200 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, il principale gas serra, in grado cioè di trattenere parte dell’energia riflessa dalla Terra verso lo spazio. Basti pensare che in epoca preindustriale il tenore di anidride carbonica in atmosfera era di 280 parti per milione, mentre nell’anno in corso ha raggiunto le 414 parti per milione. Valori simili esistevano circa 3 milioni di anni fa, nel tardo Pliocene, quando però il livello del mare era di conseguenza circa 25 metri più alto e ovviamente Homo sapiens non era ancora comparso, così come non esistevano le infrastrutture che permettono alla nostra civiltà di funzionare. Già ora il mondo sperimenta i primi segnali del cambiamento climatico, in termini di crescenti catastrofi dovute ai fenomeni meteorologici estremi, che stanno diventando la nuova normalità. Le conseguenze più nefaste del patto col diavolo che abbiamo sottoscritto nella seconda metà del secolo scorso cadranno inevitabilmente sui nostri figli e nipoti, che avranno motivo per maledirci, soprattutto pensando che la scienza aveva avvisato per tempo di quello che stava succedendo.

Il rapporto del Gruppo di Dinamica dei Sistemi del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che preconizzò il nostro presente, fu pubblicato col titolo “Limits to growth” (I limiti della crescita – malamente tradotto in “Limiti dello sviluppo”, secondo quanto afferma giustamente Giorgio Nebbia, dalla coeva e omonima pubblicazione del Club Di Roma, ndr) nel lontano 1972. In esso si definivano scientificamente i limiti fisici e le costrizioni relativi alla moltiplicazione del genere umano e alla sua attività materiale sul pianeta, mostrando che senza correzione di rotta tutti i nodi sarebbero venuti al pettine nel 21° secolo, più o meno dove ci troviamo adesso. L’audizione davanti al Congresso degli Stati Uniti di James Hansen, uno tra i più importanti climatologi del mondo, che aveva abbandonato gli studi sull’atmosfera di Venere quando si accorse che sulla Terra stava accadendo qualcosa di epocale, il riscaldamento globale, è del 1988.

Dunque, non ci sono alibi, eravamo avvisati.

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DUE “PICCOLI” CASI DI CONFLITTO PER L’ACQUA

La cronaca recente riporta due esempi che possono essere emblematici rispettivamente per l’aspetto quantitativo e quello qualitativo.

Caso 1, sulla quantità. Da Il Giornale di Vicenza del 20 agosto: «Astico in secca, i pesci sono a rischio». Si tratta della conseguenza di mancato rispetto del cosiddetto Deflusso minimo vitale (Dmv) da parte dei gestori di centraline idroelettriche sul torrente Astico. Un cittadino di Casotto basso, da quando è entrata in funzione una centralina, circa nove anni fa, segue con sgomento la mancanza di acqua nel tratto di torrente presso la sua abitazione. Quello che un tempo era un ambiente ricco di trote fario è diventato una distesa di ghiaia. A nulla sono valse ripetute denunce a Provincia, Regione e Genio Civile. L’autorizzazione prevede il rilascio di un Dmv di 350 litri al secondo, ma di fatto non ci sono, come hanno dimostrato misurazioni eseguite da Arpav nel febbraio 2018 e nel giugno 2019. Il problema è confermato anche dal sindaco di Valdastico, che dovrebbe intervenire a tutela del proprio territorio, mentre l’amministratore della centralina scarica la responsabilità su altre derivazioni fuori legge. In questo Veneto, dove vige la legge “forte con i deboli e debole coi forti”, si gioca al rimpallo di responsabilità e l’unico a rimetterci è il fiume ormai agonizzante. Succede così che una attività globalmente utile all’ambiente, cioè la produzione di elettricità da fonte rinnovabile, senza emissione di anidride carbonica, si trasforma in un danno locale per la vita di un tratto di fiume. La mancanza di controlli da parte degli enti preposti produce inoltre un danno di immagine enorme, in quanto visti i risultati, le popolazioni si oppongono alla diffusione di questi impianti, come accaduto un paio di anni fa in Val del Tovo, nel comune di Arsiero. 

Caso 2, sulla qualità, da https://www.vvox.it/2019/08/31/acqua-inquinata-pfas-verdure-bio-broccolo-fiolaro-sagra-creazzo-vicenza/Una cittadina di Creazzo disturbata dal rumore di un trattore con autobotte che aspira acqua dal fiume Retrone, che sa essere pesantemente inquinato da Pfas, decide di seguirlo scoprendo che l’operazione serve ad innaffiare le coltivazioni di broccolo fiolaro, ortaggio inserito nell’elenco dei prodotti tipici del Veneto (de.co.). Ironia della sorte, l’ortaggio viene decantato per le sue importanti caratteristiche antimutagene e anticancerogene, visto l’elevato contenuto di sostanze antiossidanti. Dopo una settimana di segnalazioni verbali presso l’assessorato all’ambiente del Comune di Creazzo, non avendo ricevuto risposta alcuna su eventuali ordinanze, divieti o autorizzazioni, quattro cittadini (di cui rappresentanze di G.A.S. Creazzo e Legambiente Ovest Vi) si sono recati al comando di polizia locale per fare un esposto, affinché venga verificato se l’agricoltore in questione sia munito di autorizzazione per prelievo acqua da fiume Retrone a scopo irriguo (secondo le ultime testimonianze protocollate nel comune citato, l’agricoltore afferma che la Regione Veneto ha dato l’autorizzazione, ndr). La questione della contaminazione da Pfas degli alimenti è una bomba inesplosa che potrebbe avere conseguenze devastanti per l’economia di una vasta zona.

Come è possibile che una terra ricca d’acqua un tempo di ottima qualità si sia ridotta ad aver paura del contatto con la preziosa risorsa?

Dario Zampieri
alberto_peruffo_CC
20 SETTEMBRE 2019

Foto Cover >> Astico di Giacomo Peruffo

Broccolo Fiolaro
Broccolo fiolaro, tratto da un aggiornamento del 18/09/2019 su Acqua Bene Comune Vicenza e Coordinamento Acqua Libera dai Pfas

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