di Comitato di Redazione
In questo articolo di raccolta documenti sottoponiamo all’attenzione del pubblico alcuni passaggi importanti della nostra lotta dopo l’udienza dell’11 novembre del Processo PFAS MITENI – che ha visto riconoscere le responsabilità civili di ICIG e MITSUBISHI – e prima dell’arrivo della Missione ONU – da noi richiesta.
Nel primo documento – scritto in occasione della programmazione della visita ufficiale in Italia del commissario speciale ONU sull’impatto delle sostanze chimiche e dei rifiuti tossici sui diritti umani, Marcos Orellana – gli attivisti del movimento no pfas – in quei giorni impegnati al Life After Oil Festival di Villanovaforru, in Sardegna – avvisati da Giuseppe Ungherese di Greenpeace, stilano una breve e rigorosa sintesi – molto utile anche per i neofiti – per invitare il Commissario alla missione in Veneto, soprattutto per la questione alimentare e i diritti negati. Invito che l’Alto Commissariato per i Diritti Umani ha accettato e che vedrà la delegazione ONU in Veneto nei primi giorni di dicembre 2021.
Nel secondo documento il Dott. Giovanni Fazio fa una lucida e articolata analisi dell’importante Convegno «Esposizione a PFAS e manifestazioni cliniche: strategie di intervento sanitario» del marzo 2021 indetto e diretto dal Prof. Carlo Foresta dell’Università di Padova, sottolineando la «negazione della prevenzione» da parte della Regione Veneto, fondata su fondamenti fallaci, messi in luce dagli stessi ricercatori intervenuti al Convegno e dal concetto di «fattore di rischio specifico, autonomo» di cui oggi i PFAS sono espressione, soprattutto dopo la dettagliata sequenza di evidenze ecologiche e sperimentali emerse durante il consesso scientifico, nonché l’ultima recentissima risultanza sulla modificazione funzionale delle cellule nervose rilasciata in queste ore (ADN Kronos, Foresta 18 novembre 2021).
Nel terzo documento, collettivo, preparato dal gruppo tecnico-scientifico di PFAS.land, si segnalano le nostre osservazioni al REACH di ECHA per mettere al bando i PFAS C6 di “media generazione” e tutta la famiglia delle sostanze pefluoroalchiliche, con solidi e comprovati argomenti siglati in questi anni di lotta. Osservazioni invitati a fare dagli esperti dell’European Environmental Bureau di Bruxelles, da noi puntualmente elaborate sotto il coordinamento del Prof. Dario Zampieri.
Negli stessi giorni Greenpeace e Mamme No Pfas pubblicano i dati “trattenuti” dalla Regione Veneto – in calce – sulla contaminazione delle matrici alimentari. Dati che destano molte perplessità, sia per essere dovuti ricorrere al TAR per ottenerli, sia per la parzialità della consegna e la “medietà” elaborata sulla stessa, sia per la poco coerenza dei dati riscontrata dopo averli scorporati e georeferenziati in vista di un nostro nuovo GIS Alimenti, oggi più che mai necessario. Tutte queste incoerenze sembrano certificare le ragioni del “nascondimento” degli stessi dati e il conseguente temporeggiamento messo in atto dalle autorità regionali, in chiara e clamorosa difficoltà.
Buona lettura.
Comitato di Redazione
+++
1.
PRIMO DOCUMENTO. LETTERA ALL’ALTO COMMISSARIATO ONU
BREVE PRESENTAZIONE // Alberto Peruffo, dopo essersi consultato con Michela Piccoli, scrive una lettera il 25 di settembre all’Alto Commissariato dei Diritti Umani – ONU Marcos Orellana – su invito di Giuseppe Ungherese, del gruppo dirigente di Greenpeace Italia. Descrive con estrema sintesi la situazione del Veneto centro-occidentale e della sua particolare e impressionante contaminazione da sostanze perfluoroachiliche, i PFAS. Vengono riassunti tutti i vari aspetti ambientali, chimico-fisici e sanitari, con grande attenzione sugli alimenti e con una chiusura sugli aspetti sociali. Riportiamo sotto alcuni passi finali, mentre vi invitiamo a leggere in inglese l’incipit, molto forte:
«Riteniamo inoltre necessario valutare sia il danno psicologico arrecato ai giovani cresciuti in un ambiente sociale caratterizzato da forte incertezza, che il danno psicologico causato ai genitori che sanno di aver nutrito i propri figli con acqua e cibo contaminati, senza dimenticare la tragedia di madri che hanno trasferito le concentrazioni ematiche di Pfas ai loro bambini attraverso la placenta e l’allattamento.
I costi sociali dei PFAS per la società europea (in termini di danni alla salute umana e di bonifica della contaminazione) sono stati stimati in decine di miliardi di euro all’anno (EEA 2019). Questo è il motivo per cui i PFAS devono essere vietati senza ulteriori indugi.
I diritti umani violati dalle Industrie e dalle nostre Istituzioni – Stato Italiano, Regione Veneto, Province di Verona/Vicenza/Padova, Sindaci di Comuni – che hanno consentito di produrre tali sostanze senza un serio controllo e trascurando altri aspetti della complessa materia in esame sono: il diritto alla vita e il diritto a un ambiente sano [il diritto all’informazione], ma anche il diritto a un rimedio effettivo.
I diritti appena citati sono tutelati da alcuni articoli della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: artt. 2, 8, 10 e 13. Al momento è avviato un processo penale in Corte d’Assise contro i responsabili e corresponsabili, ma solo a il livello nazionale. Chiediamo un processo/indagine e attenzione internazionali.
Il crimine ambientale è un crimine sociale e la violenza multispecie e multiverso di questo crimine non deve essere trascurata. Questa è la nostra tesi. Cambiando l’approccio, cambia il mondo».
2.
SECONDO DOCUMENTO. LA PREVENZIONE NEGATA
BREVE PRESENTAZIONE // Nell’importantissimo report del Convegno «Esposizione a PFAS e manifestazioni cliniche: strategie di intervento sanitario» stilato con grande dedizione scientifica dal Dott. Giovanni Fazio, vengono riportate per iscritto le risultanze degli studi interdisciplinari sui PFAS fatti dai ricercatori italiani chiamati dal Dott. Carlo Foresta ad esporli in un convegno telematico organizzato dall’Università di Padova – il 29 marzo del 2021 – aperto a studiosi, studenti, cittadinanza attiva.
Si potranno leggere le importanti evidenze emerse per quanto riguarda l’esposizione a PFAS e Covid 19; l’influenza del mancato assorbimento della Vitamina D, messo a rischio dai PFAS, sulla massa ossea; l’alterazione dei meccanismi cellulari che portano alla disfunzione dell’endotelio vascolare e a un aumento dell’attività piastrinica, con le diverse patologie correlabili, tra cui l’aumento del rischio cardiovascolare, in grado di generare eventi trombotici, e perfino tossicità epigenetiche; già il Dott. Foresta aveva parlato dell’alterazione della funzione dell’endometrio uterino, con l’aumentato rischio di aborto associato all’esposizione a Pfas, di cui questo Convegno interdisplinare è la prima grande conseguenza.
Insomma, di rischi di patologie legate ai PFAS non ne mancano e lo scopo del consesso scientifico patavino era di mettere sul tavolo della discussione alcune possibili strategie di prevenzione secondaria (che ricordiamo, è differente dalla prevenzione primaria, che sarebbe quella di togliere i PFAS dalla circolazione, dall’ambiente, come abbiamo già sottolineato in altra occasione). Il Dott. Foresta arriva perfino a dire: «Vi è pertanto una finestra terapeutica nelle donne che hanno avuto in passato una storia di abortività e che siano esposte a PFAS in quanto il progesterone potrebbe essere effettivamente di beneficio» chiudendo con una istanza etica (chiara, ma piuttosto debole, invero), che richiama la priorità della salvaguardia dell’ambiente (per l’appunto, la prevenzione primaria, da noi prontamente richiamata).
La cosa che sconcerta sono invece le conclusioni della Dirigenza della Prevenzione della Regione Veneto, della Dott.ssa Francesca Russo, per voce di una sua collega: «I fattori ambientali non sono quasi mai causa necessaria e sufficiente di patologia, ma possono contribuire, come fattori di rischio, agendo sinergicamente con fattori di tipo socioeconomico e comportamentale» [corsivi nostri, ndr].
«Stupefacente dichiarazione, all’interno di un convegno in cui per tutta la mattinata si è parlato delle malattie indotte esclusivamente dall’inquinamento da PFAS e delle specifiche modalità con cui i PFAS agiscono a livello molecolare e fisiopatologico» – commenta il Dott. Fazio.
Invero, in quei «QUASI MAI» e «AGENDO SINERGICAMENTE» ci sta tutta la fallacia e l’equivocità, per noi fortemente intenzionale, di una Regione che ha voluto chiudere gli occhi di fronte alla drammaticità patologica e ambientale dei PFAS. Perché? Noi crediamo solo perché è fortemente corresponsabile di questo grande inquinamento e contaminazione di massa, altrimenti non andrebbe contro quello che dice la stessa scienza chiamata a riunirsi dal Dott. Foresta. L’analisi del Dott. Fazio è precisa, puntuale, disarmante sotto il profilo medico-sanitario.
«La dottoressa, partendo da tale premessa, ha dedotto che bisogna concentrarsi sui rischi derivati da abitudini di vita per mitigare l’insorgenza o il peggioramento di patologie note, segnalando i casi al medico curante. Il convegno, tuttavia, diversamente da quanto affermato dalla dottoressa Pitter, ha dimostrato come i PFAS sono causa necessaria e sufficiente di malattia e rappresentano pertanto un RISCHIO AMBIENTALE SPECIFICO a prescindere e indipendentemente dai noti rischi derivati dalle abitudini di vita. L’accertamento della presenza o meno delle PFAS nel sangue, in base a quanto già si sapeva e che il convegno ha ulteriormente riconfermato con nuove ricerche, è un elemento indispensabile per le diagnosi differenziali e quindi per la prevenzione secondaria e per le specifiche terapie».
Ecco, sottolineiamo questo nuovo sviluppo: i PFAS diventano – a fronte dei recenti argomenti della scienza – un FATTORE DI RISCHIO «AUTONOMO», specifico, “indipendente/disgiunto” dagli stili di vita, dove invece vorrebbe “relegarli” – «collegarli troppo forzatamente» – la Regione Veneto. Un fattore che ha il proprio nomos, primario rispetto a quello degli altri fattori. Che agisce di per sé, con la propria legge, che non si somma o scatta grazie a quella degli altri, ma che eventualmente li regola o li sregola, come avviene per l’interferenza endocrina, che interferisce con gli altri fattori, ma non scaturisce a sua volta dagli altri. Ossia, se un organismo si nutre di PFAS l’interferenza endocrina avviene sempre e comunque. Certo, più alta o più grande se peggioriamo gli altri fattori, come lo stile di vita, ma avviene comunque e per questo va combattuta, a prescindere. Significa che questa interferenza «può generare», comunque, una patologia che i fattori concorrenti possono solo “sinergicamente” coadiuvare, ma non generare. Per questo “potere” di malattia – autonomo e non sinergico in fatto di generazione – si chiama «fattore». Che non significa per forza «causa». Altro termine con cui spesso la Regione confonde le acque per alleggerire il boccone, per trascurare i fattori, la loro priorità. Da mangiare in eterno, perché più di tanto non fanno male.
In parole più semplici, i PFAS non sono un fattore «aggiuntivo», dunque trascurabile, secondario, ossia essi non sono delle sostanze che uno può “prendere” – (tra l’altro, non volontariamente o consapevolmente! visto l’occultamento delle informazioni di base) – senza conseguenze e senza porsi tanti problemi nel caso fosse a posto con lo stile di vita, ossia non fumasse, non fosse sovrappeso, non facesse una vita sregolata, ma sana e regolare, protetta da altri rischi, come sembra invitare la Regione Veneto nelle sue lacunose direttive sui PFAS quando trova qualcuno con il siero contaminato («condizioni di vita» salubre peraltro inesistenti nella Pianura Padana dove insiste l’inquinamento da Pfas). Non tutti i fattori di rischio vanno trattati allo stesso modo o, peggio, alleggeriti con gli altri! Soprattutto quando uno di questi fattori è pervasivo, efficace in vari ordini e scale di effetti, senza controllo. In questa procedura noi abbiamo riscontrato un chiaro e meditato “alleggerimento del rischio”, rischio che invece per i PFAS deve avere la sua autonomia, un nuovo nomos specifico e primario. Da comunicare ai medici e ai cittadini.
E dopo aver interrogato la rappresentante del Dipartimento di Prevenzione su come si fa a ridurre al minimo l’esposizione se la Regione non provvede a separare i prodotti alimentari contaminati da quelli indenni – e, aggiungiamo noi, controllando come si deve gli scarichi delle fabbriche, soprattutto quelle dove oggi si rigenerano i GAC (carboni attivi) e si inceneriscono i PFAS, come a Legnago – l’analisi conclude:
«Alla luce di quanto esposto dai vari relatori, medici di famiglia, pediatri, ginecologi, neurologi non potranno più fare a meno di un accertamento diagnostico che preveda un’analisi del sangue che confermi o escluda la presenza dei PFAS. Riteniamo che tale esame dovrebbe essere inserito nei protocolli della gravidanza, che i consultori familiari, alla luce delle nuove scoperte, dovrebbero essere attrezzati per dare risposte concrete e sicurezza alle coppie che desiderano procreare. Il fatto che la ricerca dei PFAS nel sangue non sia autorizzata al di fuori della zona rossa, rappresenta pertanto un concreto ostacolo alla prevenzione e alla terapia delle patologie con patogenesi da contaminazione da PFAS e mette seriamente a rischio la salute di molti cittadini nonché il futuro di intere generazioni».
Questo abbiamo detto a voce all’Ufficio dell’Alto Commissariato dell’ONU il giorno 16 novembre 2021. E per queste e altre lacune del Veneto sottomesso al potere del profitto a tutti i costi abbiamo chiamato la massima autorità politica mondiale ad indagare sul lavoro delle nostre autorità locali, regionali e nazionali. Secondo noi non hanno fatto il loro dovere: quello di difendere la salute dei cittadini. Hanno pensato al mero profitto. Creando «congiunzioni – sinergie – di fattori» – con equivoche scale di priorità – che non stanno più in piedi.
3.
TERZO DOCUMENTO. CONSULTAZIONE ECHA
BREVE PRESENTAZIONE // Nelle osservazioni raccolte del documento collettivo scritto dal gruppo di studio PFAS.land, allargato ad esperti competenti, consegnata da uno dei nostri gruppi referenti – RETE GAS VICENTINA, coordinata da Marzia Albiero – si arriva alle conclusioni che per la sostanza oggetto della restrizione del Registro REACH della Consultazione ECHA – il PFxA – è necessario il bando, ma non solo per essa, ma per tutta la famiglia dei PFAS. Evidenze e risultanze scientifiche degli ultimi anni segnano oramai la via di questa dismissione che la politica dovrà disegnare in modo progressivo, veloce e rigoroso. Da sottolineare alcuni passaggi di concetto davvero importanti, che vanno a criticare i limiti concettuali in base ai quali l’ECHA propone ai “consultants/consulteds” l’eventuale restrizione delle sostanze in questione, difficili – secondo l’ECHA – da sostituire per i costi socio-economici:
«Critichiamo il concetto di “impatto socio-economico” inteso come il costo per la sostituzione a livello industriale di PFHxA (e PFAS in generale). A nostro avviso, il costo che deriva dalle conseguenze sulla salute e dalla sofferenza di vaste popolazioni, come quelle colpite dal caso Miteni, è così grande da non essere quantificabile. Il costo per la sanità pubblica è semplicemente l’esternalizzazione dei costi di produzione: se l’impatto sociale e sanitario fosse incluso nei costi di produzione Pfas, le aziende avrebbero già investito in ricerca per trovare prodotti alternativi! Inoltre, il semplice fatto che molti beni di consumo contengano sostanze SVHC [“estremamente problematiche”, ndr] trasformerà automaticamente questi prodotti, una volta giunti alla fine del loro ciclo di vita, in rifiuti contaminati da SVHC, generando così enormi costi per il loro trattamento, per evitare la dispersione di sostanze pericolose nell’ ambiente».
Non solo, critichiamo anche la parzialità della loro visione sui costi e concludiamo con le stesse conclusioni che poi riporteremo nel Documento ONU, sottolineando questi passaggi:
«Non è più accettabile ignorare questa mole di dati e soprattutto la possibilità che queste sostanze possano essere coinvolte nell’aumento di malattie neurodegenerative, disturbi dello sviluppo neurologico e della crescita nell’infanzia.
In conclusione, se vogliamo stimare il costo totale dell’impatto dei PFAS in modo più accurato, dobbiamo considerare molti fattori diversi. L’enorme danno alle risorse primarie – come acqua, terra e aria -, gli oneri aggiuntivi agli impianti di trattamento delle acque e i costi specifici della ricerca di nuovi composti e della sostituzione dei composti PFAS con le nuove alternative sono solo alcuni di questi. A questi fattori vanno aggiunti i costi per la ricerca scientifica sulle patologie emergenti e di ospedalizzazione di migliaia di persone, nonché i costi derivanti dal danno psicologico e sociale sulle popolazioni residenti (si veda lo studio sulla violenza ambientale condotto dal Università di Padova). Infatti, l'”impatto socio-economico totale” a cui ci riferiamo, considera anche l’effetto psicologico sulla popolazione, poiché le persone prendono coscienza del fatto che l’acqua che bevono e il cibo che mangiano non sono sicuri quando sono usate sostanze SVHC che appartengono alla stessa famiglia dei composti PFAS. Pensare di avere figli diventa un problema quando si vive in una “zona critica”. Inoltre, c’è il rischio di perdita di valore immobiliare, poiché i residenti tendono a cambiare le aree abitative.
Questo è il motivo per cui i PFAS devono essere vietati senza ulteriori indugi.
I lavoratori attualmente impiegati nella produzione di PFAS, e nei settori degli utilizzatori delle stesse sostanze, possono essere trasferiti alla produzione di composti alternativi privi di PFAS. Quello che sosteniamo è uno sviluppo economico basato su una ricerca solida e su priorità sociali e personali (della “persona”, in termini di salute e benessere generale delle popolazioni e degli individui), non il modello Business as Usual (BaU)».
4.
ANALISI ALIMENTI REGIONE VENETO 2017 CONSEGNATE SOTTO INGIUNZIONE DEL TAR NEL 2021
Con la sentenza del TAR dell’8 aprile 2021 la Regione Veneto è costretta a rilasciare i dati sulle analisi degli alimenti che da diversi anni la popolazione chiedeva e che la Regione stessa aveva “nascosto” con un diniego di accesso agli atti per futili e insostenibili motivi. Senza entrare nel merito della vicenda giuridica, i dati vengono consegnati a Greenpeace e alla Mamme No Pfas, titolari ultimi del ricorso.
A settembre, con notevole ritardo dovuto in parte alla complessità degli stessi dati, vengono pubblicate le prime elaborazioni. Cliccando sotto sull’immagine potete accedere alle varie mappe e tabelle tematiche.

Le mappe dimostrano diverse problematicità e imprecisioni dovute sia all’incompletezza dei dati, sia alla metodologia di aggregazione, sia alla scelta di alcuni parametri fondamentali per la concreta percezione “popolare” – comprensibile ai più – degli stessi.
In breve:
- fra i files resi pubblici ci sono discrepanze e lacune; nelle tabelle mancano alcune decine di dati, e tutto il file delle coordinate della analisi su prodotti animali della ULSS 9 risulta privo di riferimenti alle analisi, quindi ben 300 analisi risultano non georeferenziabili.
- 30 analisi sono senza indicazione del Comune – indicati come NULL – pur avendo le coordinate geografiche (e tra questi dati c’è il picco di contaminazione, elevatissimo, sulle pere, con 2600 ng/kg);
- la rielaborazione dei dati è avvenuta accorpandoli per Comune e indicando una media fra i campionamenti sotto la soglia limite di quantificazione (LOQ) e quelli positivi, con l’effetto di abbassare di molto i valori “preoccupanti” indicati;
- le misure sono indicate in µg (microgrammi) per kg, mentre di norma si usa il nanogrammo: ng/l o ng/kg. Usando il microgrammo il numero risultante è un millesimo di quello usato per indicare la contaminazione dell’acqua, come quella sul cibo: si induce perciò a un’alterata percezione (comprensione) popolare delle quantità in gioco;
- le misure – principalmente fatte/indicate dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità) – sono riportate con soglia di quantificazione (LOQ) di 500ng/kg per il PFBA, di 100 ng/kg per altri 11 pfas, senza una spiegazione del perché il LOQ sia cosi alto (potrebbe dipendere dal periodo delle analisi – 4 anni fa – ma pure dal non volere scendere sotto certe soglie ampiamente transitabili);
- la somma cumulativa di sostanze non rilevabili sarebbe quindi – addirittura! – fino a 1600 ng/kg;
- non è segnalato se le coordinate indicate siano quelle dell’azienda agricola, o l’effettivo punto di coltivazione del vegetale o di allevamento dell’animale; non solo, in alcune analisi ci sono discrepanze tra le coordinate, che stiamo verificando;
- si notano moltissimi campionamenti in Zona Rossa B (zona senza compromissione delle falda, ma con acqua inquinata fornita da acquedotto). In questa zona non è credibile che i Pfas siano arrivati con l’acqua dell’acquedotto alle produzioni agricole. Manca una spiegazione e appare illogico che la dominanza dei campionamenti non ricada sulla Zona Rossa A, dove la falda è propriamente compromessa.
- ci sono diverse analisi in cui il nome della azienda agricola è visibile nonostante il tratto di pennarello con cui lo si voleva cancellare (probabile violazione della Privacy);
- stranissima ed inspiegabile concentrazione di analisi ad Arcole (in Zona Rossa B) su Asparago, vegetale apparentemente poco indicativo (si bagna poco, viene piantato in una trincea piena di letame);
- i dati consegnati sono oramai datati – di 4 anni fa (che non sono pochi) – quindi senza valore effettivo. Un’eventuale misura fatta attualmente sugli stessi prodotti dovrebbe dare valori ben minori per due ragioni:
a) il produttore dovrebbe essere stato edotto della contaminazione del prodotto, e avere agito di conseguenza. Se non è stato edotto, la responsabilità è di chi non ha pubblicato questi dati;
b) la Regione dovrebbe avere vigilato e chiarito ben prima di oggi sulla reale causa ed estensione delle apparenti contaminazioni sopra il plume e soprattutto fuori da esso. Se non lo ha fatto, non ci sono altri possibili responsabili.

Per queste e altre lacune a breve arriverà il nuovo GIS ALIMENTI DI PFAS.LAND – coordinato da Davide Sandini – che andrà a perfezionare e integrare sia la mappa pubblicata nel sito delle Mamme No Pfas sia il nostro GIS delle analisi sulle acque sotterranee e superficiali che ne è il naturale confronto. La sua pagina di accesso conta ad oggi 10.351 consultazioni.
La ragione è palese. I PFAS non si nascondono.
Comitato di Redazione PFAS.land
23 NOVEMBRE 2021

HYPERKLINKS E APPROFONDIMENTI
La pagina sugli ALIMENTI CONTAMINATI nel sito Mamme No Pfas >> https://www.mammenopfas.org/pfas/pfas-negli-alimenti
La comunicazione di Greenpeace sugli ALIMENTI CONTAMINATI >> https://www.greenpeace.org/italy/storia/14191/pfas-negli-alimenti-coltivati-nelle-aree-piu-contaminate-del-veneto/
La recentissima elaborazione concettuale (28 ottobre 2021) sul CRIMINE AMBIENTALE del nostro Laboratorio Politico di Ecologia, dopo aver portato il concetto davanti alla Miteni e in Tribunale >> https://laboratoriopolitico.org/2021/10/28/crimine-ambientale/
Il primo passo – leggero – di Foresta sulla «PREVENZIONE». La serrata analisi dei fatti di “prima politica” di Alberto Peruffo, che distingue la prevenzione primaria da tutte le altre >> https://ncpp.cloud/argo-analisi/analisi-di-prima-politica-1-veneto-pfas-foresta/
Lo studio CATTIVE ACQUE su violenza ambientale e danni psicologici causati dai PFAS dell’Università di Padova >> https://www.padovauniversitypress.it/publications/9788869382437
Potente ,chiara e ricca analisi in vari aspetti se non tutti di concausa del crimine ambientale della regione e.di altri enti amministrativi.
Impossibile ignorare o negare l’ escalation delle negate azioni mai intraprese da tutta l’amministrazione regionale nei suoi vari ruoli.
Molto buono
Maria Chiara Rodeghiero
Medicina Democratica Onlus
Complimenti a tutti per il lungo lavoro che avete fatto , e che continuate a fare , grazie ,